«A chi ha perso il posto di lavoro, dico di non perdere la speranza: c’è sempre una via d’uscita». Monsignor Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto, guarda con attenzione alle dinamiche sociali del territorio.
Eccellenza, la Pasqua è la festa religiosa principale del mondo cristiano in cui si celebra il sacrificio e la resurrezione di Cristo. Osservando gli scenari internazionali, siamo ancora nella fase del sacrificio e la resurrezione non si intravede.
«La Pasqua ci consegna una verità dalla quale non si torna indietro: la morte, per quanto possa sembrare forte, non ha l’ultima parola sulla vita e sulla storia. Papa Francesco, nella Evangelii Gaudium, afferma che “la Risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali”. Infatti, la forza dei germogli è tanto inesorabile, quanto silenziosa. La guerra, la distruzione, la morte sembrano vincere perché sono realtà ‘rumorose’. La vita, invece, risorge nel silenzio di gesti concreti, spesso nascosti. Sta a noi scegliere da che parte stare, di quali gesti vogliamo accorgerci e quali, di conseguenza, anche noi vogliamo compiere con la nostra responsabilità».
Monsignor Satriano, riportiamo l’attenzione su Bari. Per alcuni Pasqua è sinonimo di vacanza e lauti pranzi, per altri è invece un giorno meno felice, i tanti cassintegrati o peggio i disoccupati come quelli di Baritech, o del Palace hotel. Cosa si sente di dire agli uni e agli altri?
«Vorrei dire innanzitutto a chi vive il dramma della perdita del lavoro di non perdere la speranza e di cercare sempre la via del dialogo.
Cosa fa la Chiesa per colmare le diseguaglianze e come giudica su questo stesso tema l’operato delle istituzioni?
«Il primo passo per colmare le disuguaglianze è farsi prossimi, accorciare le distanze, mettersi accanto alle persone nelle varie situazioni di vita che sono chiamate ad affrontare. La Chiesa non è un’agenzia di servizi, ma una comunità di fratelli e sorelle che cerca di far sentire il calore umano a chi soffre il freddo della solitudine e, allo stesso tempo, si impegna a tenere deste le coscienze, sia di chi fa parte delle istituzioni, sia dei singoli cittadini. Non è mio compito giudicare nessuno. Mi permetto piuttosto di incoraggiare me per primo, la nostra Chiesa diocesana e le istituzioni a far maturare in tutti quanti un senso di partecipazione attiva alla buona vita della società. In fondo, la Chiesa siamo noi, le istituzioni siamo noi. Finché non ci riapproprieremo di una coscienza condivisa, di essere - come più volte ricorda il Papa - “tutti sulla stessa barca”, continueremo a navigare a vista, in balia delle onde degli eventi».
Il fenomeno delle baby gang è ormai un’emergenza nel capoluogo pugliese. Cosa occorre fare nell’immediato e nel medio –lungo termine?
«È necessario impiegare il massimo sforzo nella missione educativa delle nuove generazioni, partendo da una testimonianza autorevole del mondo degli adulti. La criminalità si combatte sui banchi di scuola, nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle agenzie educative fin dai primi anni di età. Pensare a interventi correttivi drastici e coercitivi è sempre una scelta tardiva e fallimentare. Dobbiamo tutti metterci in gioco con maggiore impegno. Sono testimone che non è mai tardi per innescare processi di bene. Il lavoro che si fa all’istituto “Fornelli” di Bari ha il profumo delle cose buone di famiglia, dell’amore generoso che non si arrende di fronte alla sfida dell’umano, anche quando sembra irrimediabilmente perduto. Anche questa è Risurrezione: scommettere sull’umano apparentemente irrecuperabile».
Grazie a un oggettivo miglioramento del sistema del trasporto urbano, si sta cercando di ricucire centro e periferie. Anche attraverso iniziative culturali, dai concerti ai murales, le istituzioni stanno cercando di colmare le distanze. Cosa altro, secondo lei, occorre fare e su quali piani?
«Colmare le distanze va bene ma non ci si può fermare. Tutto ciò dev’essere l’inizio di un cammino proteso a porre le periferie in una condizione generativa di bene. Intendo dire che anche la periferia esistenziale di una città, di un territorio, può e deve divenire soggetto attivo di cittadinanza e legalità. Questo richiede investimenti strutturali mirati e audaci, proposte educative che aiutino le persone a passare da una condizione socialmente assistita a una dove il protagonismo dei singoli e della collettività possa esprimersi con efficacia».
Monsignor Satriano quale è il suo augurio di Pasqua ai baresi?
«Augurare Buona Pasqua può avere il sapore dello scontato e della retorica, credo invece conservi ancora oggi il gusto dell’inedito e del rivoluzionario. Sì! Desidero a tutti augurare un “passaggio” risoluto che ci porti da una cultura di morte, assestata sul successo e sul denaro, che avvelena le nostre e altrui esistenze, a una cultura della vita che sappia valorizzare tutti e ciascuno. I baresi hanno “catturato” il mio cuore per la loro cordialità, capacità di accoglienza e creatività: hanno una marcia in più. A ciascuno vorrei sussurrare: Ama la vita, è un dono unico e irrepetibile, lasciati afferrare da Cristo. Questa Pasqua ci strappi alle piccole misure di felicità e ci doni il coraggio di agire col cuore, controcorrente, aprendo varchi di speranza per tutti».
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