Fotovoltaico, eolico, motori: dal rame alle terre rare è caccia alle materie prime critiche (che l'Europa non ha)

Rame per il fotovoltaico e per le turbine eoliche, terre rare per i motori elettrici. Fa il punto il MED & Italian Energy Report 2023 del centro studi Srm e del Politecnico di Torino

Fotovoltaico, eolico, motori: dal rame alle terre rare è caccia alle materie prime critiche (che l'Europa non ha)
di Alessandra Camilletti
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Mercoledì 20 Dicembre 2023, 16:05 - Ultimo aggiornamento: 22 Dicembre, 19:21

Partiamo dalla produzione dell’energia elettrica.

Nell’arco di un ventennio, in Europa, l’uso del carbone è diminuito dal 31% al 16 ed è aumentata la quota di gas naturale, dal 12 al 20%. Le rinnovabili dominano, salite dal 15% al 38. E ci si aspetta un ritmo di espansione dell’elettricità da fonti green più che doppio entro il 2027. In Italia, gas e fonti rinnovabili sono oggi le due vie più seguite per produrre elettricità, rispettivamente al 54% e al 35% del mix elettrico. L’idrogeno verde, ora. Ricostruisce ancora la ricerca MED & Italian Energy Report 2023 di Srm – centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo – e del Politecnico di Torino che, «per raggiungere l’obiettivo al 2030 del 42% di consumo di idrogeno green nel settore industriale, i Paesi Ue della sponda settentrionale devono installare una notevole quantità aggiuntiva di capacità fotovoltaica ed eolica». Per l’Italia si calcolano circa 10 GW aggiuntivi di capacità fotovoltaica. 

Lo snodo: il viaggio verso la carbon neutrality, che richiede un maggior uso di materie prime rare. La via è tracciata. L’accordo della COP28 appena raggiunto programma la fuoriuscita dai combustibili fossili velocizzandola in questo decennio, per raggiungere zero emissioni nette di carbonio nel 2050. Prevede anche di triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e di raddoppiare la media del tasso annuo di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030. 

Un passo indietro. La guerra in Ucraina, ricorda il Rapporto, ha dimostrato la «dipendenza critica» di alcuni Paesi da infrastrutture fisse come i gasdotti e dalle forniture estere. L’Europa, tra le grandi regioni del mondo, è l’area con il maggior grado di dipendenza energetica: il 55,5% dei consumi dipendono da importazioni. L’Italia prevale con il 73,5%. «Uno dei messaggi chiave del nostro Rapporto è che con la transizione energetica verso le rinnovabili il rischio è che si sposti la dipendenza dalle commodity alle materie prime rare, fondamentali per le tecnologie “verdi”. Un concetto chiave», sottolinea Consuelo Carreras, senior economist maritime & energy di Srm. 

LA MAPPA

Rame, e in grandi quantità, per la produzione delle tecnologie solari fotovoltaiche. Ancora rame, terre rare, manganese e nichel per la realizzazione delle turbine eoliche. Sempre rame e terre rare per i motori elettrici. E poi ci sono le batterie agli ioni di litio, che per essere realizzate hanno bisogno di tutte le materie prime critiche, fatta eccezione del platino e delle terre rare. Materie di cui i Paesi del Mediterraneo, e in particolare quelli europei, hanno una disponibilità limitata.  

Se nel 2022 il piano RePowerEu, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia e accelerare la transizione, si basava su tre pilastri – diversificazione dell’approvvigionamento energetico, risparmio energetico e aumento della penetrazione delle rinnovabili –, nel 2023 il Critical Raw Materials Act della Ue delinea misure per garantire un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche. «La sfida delle rinnovabili ci aiuterà da un lato a procedere sulla strada della sostenibilità verso il target net zero e dall’altro a cercare maggiore sicurezza», spiega Carreras.

E traccia una mappa della disponibilità di materie fondamentali: «Il Congo è il re per il cobalto, la Cina per grafite e terre rare, l’Australia per il litio. Questi tre Paesi insieme controllano oltre i tre quarti della produzione mondiale di materie prime critiche. Per raggiungere i propri obiettivi al 2050, per fare un esempio, l’Europa avrà bisogno di utilizzare un ammontare di terre rare pari a 26 volte il volume attuale. E dovrà rivolgersi ad altri Paesi. Basti pensare che per un impianto eolico offshore è richiesta una quantità di materie prime critiche nove volte superiore a quella per un impianto a gas». Esempio tipico è quello dell’auto elettrica – spiega il Rapporto –, che contiene in media 207 chilogrammi di minerali (tra cui grafite, rame, cobalto, nickel, terre rare, litio e manganese) contro i 33,6 chilogrammi di un’auto tradizionale. 

Qui interviene l’Atto europeo dello scorso marzo. «Si prevede una strategia articolata – ricostruisce Consuelo Carreras – che prevede un mix equilibrato di fornitori, per evitare la dipendenza da un singolo Paese, ma anche lo sviluppo di un mercato di riciclo dei componenti, laddove le materie prime possono essere riestratte. Lo abbiamo visto con il gas: la geografia energetica è una sorta di geografia geopolitica». Tra gli obiettivi, la copertura di almeno il 10% dei consumi dall’estrazione interna, il 40% dalla lavorazione interna, il 15% dal riciclo interno e non più del 65% di copertura da un singolo Paese terzo. 

IL CONFLITTO

Come potrebbe incidere un’eventuale regionalizzazione del conflitto in Medio Oriente, sullo scenario energetico? «A oggi nel breve termine non registriamo conseguenze importanti – spiega Carreras – L’attuale instabilità geopolitica insiste in una zona di passaggi oil e gas che potrebbero mostrare una vulnerabilità per la sicurezza strategica mondiale. Attraverso lo stretto di Hormuz passa il 20% del commercio mondiale di petrolio e Gnl. E dal canale di Suez transitano il 10% del traffico mondiale di petrolio e l’8% del Gnl. Attraverso questi due passaggi transitano ogni giorno oltre 26 milioni di barili di petrolio». 

Uno scacchiere in cui entrano in gioco i porti del Mediterraneo e quindi quelli italiani. «I porti del futuro sono green e smart – sottolinea Carreras – Adatti per accogliere i traffici delle commodity fossili ma anche gli arrivi dell’energia rinnovabile prodotta dal nord Africa per essere riutilizzata. Sono scali in evoluzione con il cold ironing, per fornire energia elettrica alle navi in banchina, in prospettiva da rinnovabili. Sono hub che si attrezzano per il bunkeraggio e lo stoccaggio di nuovi propellenti. E stanno diventando sempre più strumento di influenza geopolitica, utilizzati per aumentare la connettività con i Paesi considerati strategici».
Possibile guardare con ottimismo verso il 2050? «Vedo ottimismo dal punto di vista delle strategie messe in campo, seppur complesse da attuare – osserva Carreras –: c’è una percezione chiara del problema e della strada da seguire a livello europeo e di ogni singolo Paese. È chiaro che non manca molto tempo e che quindi occorre fare presto. Ora bisogna concretizzare le iniziative e portare avanti gli investimenti, a partire dai fondi del Pnrr».

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