Green deal/ Nuove regole: dalle auto ai lavori per le case, dalle rinnovabili all'agricoltura ecco cosa cambia

Le auto elettriche restano invendute e i governi temono per i posti di lavoro, i lavori per gli immobili saranno più facili e per l'agricoltura stop alla stretta sui pesticidi

Green deal/ Nuove regole: dalle auto ai lavori per le case, dalle rinnovabili all'agricoltura ecco cosa cambia
di Roberta Amoruso, Giacomo Andreoli e Francesco Pacifico
9 Minuti di Lettura
Mercoledì 6 Marzo 2024, 12:30 - Ultimo aggiornamento: 7 Marzo, 07:25

A meno di cento giorni dalle elezioni, la Ue mantiene l’obiettivo Net Zero ma apre alle riformulazioni del Green Deal sull’ambiente.

Dall’industria all’agricoltura, per competere con le altre economie del mondo, si contesta un piano accusato di ultra regolamentazione Ecco la situazione e cosa cambia nel settore automotive, agricoltura, rinnovabili e immobili

AUTO/ Il settore è cresciuto meno delle aspettative. Germania e Francia tagliano gli incentivi

(di Francesco Pacifico

Il 28 marzo di un anno fa l’Unione europea sentenziò – ma non a maggioranza – che dal 2035 non si potranno vendere auto che emettono CO2. Salvando, però, quelle con motore endotermico alimentato da biocarburanti o sintetici. E il mondo dell’automotive lesse in questa scelta una frenata alla corsa dell’auto elettrica. Segnale confermato anche con il regolamento sull’Euro 7, con la stretta agli inquinanti circoscritta solo a quelli prodotti da batterie e pneumatici. Un segnale colto anche da governi e costruttori, preoccupati da modalità e tempi di un’elettrificazione troppo rapida. Nel 2023 in Europa sono stati immatricolati 12.847.481 veicoli, 2.019.401 gli elettrici (Tesla Model Y la prima in assoluto), con il comparto che copre il 15,7 per cento del mercato. In Italia – con 66mila mezzi venduti – siamo al 4,2. I prezzi di listino, la concentrazione delle centraline di ricarica in determinate aree o le abitudini consolidate degli automobilisti hanno fatto da deterrente per lo sviluppo commerciale dei Bev (Battery Electric Vehicle). Fin qui il mercato consumer. I governi, invece, guardano soprattutto a un aspetto: la transizione verso l’elettrico potrebbe cancellare in tutta la filiera dell’automotive fino a un terzo degli addetti. Una tragedia che si ripercuote su consumi, fiscalità e politiche di welfare. Per la cronaca, costruttori più virtuosi sulle alimentazioni alternative come Bmw dovrebbero registrare un calo della forza del lavoro sotto il 10 per cento. Il contrario in Italia, dove Stellantis non ha completato l’elettrificazione dei modelli e la componentistica lavora per il 65 per cento su motori tradizionali. Complice il calo delle vendite, la Germania ha tagliato nel 2024 gli incentivi governativi per l’acquisto di elettriche e guarda agli eFuels. Per non parlare degli abitanti di Gruenheide, che con un referendum si sono messi di traverso all’ampliamento dell’impianto di assemblaggio di Tesla. Sempre sul fronte ecobonus, la Francia, per frenare la concorrenza cinese, ha bloccato il programma di “leasing sociale” e tarato gli aiuti sulla produzione locale. Soprattutto l’Eliseo ha guidato il fronte Ue contro i tagli draconiani alle emissioni di macchine e furgoni nel pacchetto Euro 7. E se l’Olanda inizierà a far pagare dal 2025 la tassa di circolazione alle elettriche, fuori dalla Ue il Regno Unito vuole portare lo stop a benzina e diesel dal 2030 al 2035.

I PRODUTTORI

E i costruttori? Anche qui si registrano frenate, legate ai prezzi della componentistica. Volkswagen ha appena abbassato i listini, ma a fine 2023 ha annunciato il taglio della produzione dei modelli come Volkswagen ID. 3 e Cupra Born. Mercedes ha rinviato di 5 anni (al 2030) l’obiettivo di portare le vendite delle Bev al 50 per cento. Renault ha bloccato l’Ipo di Ampere, la sua unità elettrica. Il suo presidente Luca De Meo ha chiesto ai colleghi di costruire assieme l’Airbus dell’auto elettrica. Cioè, «è di estrema urgenza coordinare gli sforzi nell’enorme transizione automotive già in atto». Carlos Tavares (Stellantis) ricorda la necessità di aumentare gli incentivi. Altrimenti non ci sono le condizioni per lo sviluppo del comparto o per respingere l’assalto dei cinesi.

AGRICOLTURA/ Stop ai pesticidi e un freno alla messa a riposo dei terreni

(di Giacomo Andreoli)

Stop alla stretta sui pesticidi, freno sul meccanismo dei terreni a riposo anche per non inquinare e tutele per le importazioni a basso costo dall’Ucraina. Sono i provvedimenti che gli agricoltori hanno già ottenuto dalla Commissione Ue dopo lo scoppio della protesta in tutta Europa per i guadagni esigui e i vincoli che gravano sulla categoria. Altre concessioni sono in arrivo, intrecciandosi sempre più con le regole green che l’Unione aveva previsto entro il 2030, soprattutto con la Pac (la politica agricola comune al 2027 da 390 miliardi), ma anche il Green Deal (il piano ambientalista da mille miliardi che prevede la neutralità climatica al 2050). Insomma, per venire incontro agli agricoltori saranno sacrificati sempre più target e obblighi per l’ambiente. Il regolamento sui pesticidi proposto da Bruxelles prevedeva la riduzione del 50% dell’uso di tutti i chimici e del 65% l’uso di quelli più pericolosi entro il 2030. Sono ritenuti una delle prime fonti d’inquinamento: contaminano l’acqua, il suolo e l’aria, fanno perdere biodiversità e portano alla resistenza dei parassiti. Tra i paletti verdi che, da subito, l’esecutivo Ue si è poi offerto di mettere in discussione ci sono: l’obbligo di rotazione delle colture, la copertura minima del suolo coltivato e la quota (pari al 4%) di superficie da mettere a riposo (derogata per il 2024, purché si piantino colture in grado di “catturare” l’azoto dall’atmosfera come fave e lenticchie). E ancora: un taglio netto del 50% della burocrazia e delle ispezioni a carico delle aziende agricole (controllando meno anche il rispetto dei vincoli ambientali); lo stop per gli ex allevatori che hanno grandi superfici erbose dell’obbligo di riconvertirle in prati permanenti; un ampliamento della fattispecie di “cause di forza maggiore”, che consentirebbe in casi eccezionali di non rispettare le prescrizioni della Pac senza perdere le sovvenzioni.

LE PROSSIME MOSSE

 A metà mese il Consiglio Ue discuterà di una riforma complessiva della Pac. L’obiettivo è semplificare le pratiche e rimuovere senza troppe cerimonie molti altri paletti ambientali (i Gaec) a cui è condizionato l’esborso delle sovvenzioni Ue. L’Italia propone poi di innalzare il tetto attualmente previsto in materia di aiuti di Stato per il settore. Gli agricoltori, però, chiedono anche di riconoscere il giusto prezzo per il lavoro che svolgono, con più misure di sostegno ai redditi per le piccole e medie imprese. Non solo, la richiesta è anche un cambio di passo sugli accordi commerciali di libero scambio, accusati di penalizzare i produttori Ue. C’è chi vuole lo stop all’accordo Ue-Mercosur (il blocco sudamericano).

Le frange più estreme della protesta, infine, chiedono di rivedere completamente anche il Green Deal, tagliando drasticamente gli obiettivi per l’ambiente al 2030.

RINNOVABILI/ Corsa agli investimenti ma il primato dei pannelli è cinese

(di Roberta Amoruso

Se c’è una leva verso gli obiettivi del 2023 che l’Europa non intende allentare è quella della spinta alla produzione da fonti rinnovabili. Anzi. Meglio alzare l’asticella degli investimenti, già rinforzati attraverso il RepowerEu, per rendere più credibile il target del 45% dei consumi che nel 2030 dovranno essere da fonte rinnovabile. Si tratta di raddoppiare i livelli attuali spingendo anche sulle autorizzazioni. Ma le risorse, cruciali anche per adeguare la rete che accoglierà la montagna di energia rinnovabile, sono l’ingrediente indispensabile. Di questo hanno riparlato i ministri dell’energia riuniti a Bruxelles nei giorni scorsi. Sono Austria, Danimarca, Estonia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna i veri amici delle rinnovabili. E sono loro a voler spingere sull’acceleratore. Perché nello scenario più ambizioso che porti a una riduzione dei gas serra del 90%, le energie rinnovabili dovranno corrispondere fino a tre quarti del consumo finale lordo di energia Ue e al 90% del consumo di elettricità nel 2040». Tutto questo si traduce in oltre 2.000 Gigawatt di capacita di generazione installata di rinnovabili in tutta l’Ue entro il 2040 e in un aumento significativo delle tecnologie di flessibilità, come lo stoccaggio, la generazione dispacciabile e la domanda flessibile». Un chiaro quadro di investimenti è quello che serve.

Ma i tempi sono stretti e allora i finanziamenti dovrebbero «concentrarsi su tecnologie economicamente efficienti laddove esistono obiettivi comuni», dicono i Paesi Ue. Con l’Italia che mette in luce «il potenziale del biometano e dei gas rinnovabili». Certo, è impensabile che l’Europa debba segnare il suo traguardo sull’energia green senza affrontare la pesante minaccia che arriva dai pannelli cinesi venduti a prezzi di saldo. «È chiaro che non possiamo chiudere le frontiere, perché abbiamo bisogno di pannelli solari e abbiamo beneficiato molto dei tassi di installazione record l’anno scorso e nel 2022», hanno scritto la commissaria Kadri Simson e il responsabile per il Mercato interno, Thierry Breton, in una lettera inviata alla ministra dell’Energia belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Tinne Van der Straeten. Ma se alcuni operatori Ue sostengono la necessità di una nuova tornata di tariffe anti-dumping (dazi doganali compensatori) contro i pannelli solari in arrivo dalla Cina, la Commissione privilegia un sostegno diretto al settore. Dalle aste ad hoc per favorire i pannelli solari prodotti in Europa agli appalti pubblici con priorità ai produttori nazionali, fino agli schemi di incentivi per pannelli solari sui terreni agricoli. Evitare la dipendenza dai pannelli di Pechino è diventata una priorità.

IMMOBILI/ Lavori più facili e norme più leggere per classi energetiche

(di Giacomo Andreoli)

Con l’approvazione del 14 marzo da parte del Parlamento Ue della direttiva sulle cosiddette “case green”, dovrebbe essere messa nero su bianco la nuova linea morbida europea sugli obiettivi green di risparmio energetico del patrimonio edilizio. L’accordo politico, d’altronde, è già stato trovato a dicembre tra gli europarlamentari, il Consiglio e la Commissione Ue.


COSTI RIDOTTI
Rispetto alla versione precedente della proposta, sono saltati i vincoli precisi per il passaggio di classe energetica delle abitazioni. Per l’Italia ci sarà solo un target generico da rispettare del 16% di emissioni in meno entro il 2030 (che sale al 20-22% nel 2035). Il 55% della riduzione energetica dovrà essere raggiunto attraverso la ristrutturazione degli edifici con le prestazioni peggiori. Ma con la revisione del testo la spesa per i lavori in casa a carico di ogni famiglia, bonus offerti dallo Stato permettendo, scende dai 60mila euro stimati in precedenza a un nuovo range che va dai 20mila a 55mila, a seconda delle caratteristiche degli immobili. Ma soprattutto rendendo più fattibile per il nostro Paese (secondo gli ambientalisti si poteva trovare comunque una mediazione più ambiziosa) la riqualificazione energetica delle case, visto che il 62% del patrimonio abitativo oggi si trova nelle classi F o G, che sarebbero dovute “evolvere” alla E entro il 2030. In ogni caso entro sei anni tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero e entro il 2050 il patrimonio edilizio esistente dovrà essere trasformato in strutture neutrali dal punto di vista climatico. 


La linea morbida dell’Ue ha comunque poi fatto sì che le caldaie a gas siano salve fino al 2040 (facendo slittare l’obbligo di sostituzione di 5 anni). Con la nuova versione della direttiva non ci sarà quindi l’obbligo di installare pannelli solari sugli edifici residenziali. Andranno messi entro il 31 dicembre 2026 solo sui nuovi edifici pubblici e non residenziali (come gli uffici e i negozi) con superficie utile superiore a 250 metri quadri. Poi dal 2030 su tutti gli edifici pubblici di superficie superiore a 250 metri quadri. In generale per gli edifici non residenziali la soglia di riduzione delle emissioni sarà del 16% entro il 2030 e del 26% al 2033. Vengono poi previste ulteriori eccezioni come per gli edifici sottoposti a vincoli paesaggistici o culturali e altri edifici storici dove la ristrutturazione non è tecnicamente o economicamente fattibile. E ancora, saranno esclusi: gli edifici temporanei, i manufatti agricoli e gli edifici di proprietà delle forze armate.

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