Anziano torturato dai bulli, la prima denuncia a metà marzo: «Aiutatemi, mi perseguitano»

Anziano torturato dai bulli, la prima denuncia a metà marzo: «Aiutatemi, mi perseguitano»
di Nazareno DINOI
3 Minuti di Lettura
Domenica 5 Maggio 2019, 09:11
Dalle carte dell'inchiesta sulla baby gang di Manduria, quattordici ragazzi quelli individuati, otto dei quali in carcere, solo due maggiorenni e tutti accusati di aver torturato il pensionato manduriano Antonio Cosimo Stano, spunta un documento che sposta indietro di 21 giorni la data in cui il disabile psichico, morto per cause ancora da accertare, denunciò per la prima volta ad un organo di polizia le violenze subite. L'atto che lo prova è contenuto in uno dei numerosi fascicoli che compongono l'inchiesta delle due procure tarantine, quella ordinaria e la minorile che da un mese lavorano sinergicamente per individuare i responsabili di questa bruttissima storia.  Si risale al 14 marzo 2019. «Alle ore 22.43 circa si legge agli atti personale dipendente (del commissariato di polizia di Manduria, ndr), nell'ambito della consueta attività di prevenzione e controllo del territorio, su disposizione della locale sala operativa si portava in questa via San Gregorio Magno numero 8». L'indirizzo è proprio quello dove abitava il 66enne morto e dove periodicamente, in più occasioni e chissà da quanto tempo, i bulli del quartiere si divertivano ad insidiarlo, oltraggiarlo e picchiarlo filmando le «bravate» che facevano orgogliosamente girare sulle chat private. «Gli operanti sul posto continua la relazione che l'organo di polizia ha trasmesso alle due procure joniche -, venivano avvicinati da Antonio Cosimo Stano, un uomo anziano che vive da solo, il quale riferiva loro di essere, già da diversi giorni, costantemente oggetto di vessazioni, angherie, percosse ed aggressioni ad opera di alcuni giovani ignoti».
Cosa sia accaduto in seguito, non è dato sapere. Per trovare il successivo documento che parla della vicenda bisogna andare al 5 aprile, data in cui è stata presentata la denuncia scritta firmata da sette residenti di quella via e del parroco della chiesa San Giovanni Bosco, don Dario De Stefano.   A presentarla personalmente, recandosi da sola in commissariato, è stata una donna che abita vicino al domicilio della vittima. «Dopo tante telefonate di aiuto finite senza esito afferma la signora avevo capito che bisognava andare di persona e sollecitare così un intervento risolutivo». Il racconto della donna, dettagliatissimo e lucido, lo raccoglie il vice ispettore di polizia, Paolo Piccione che con l'ispettore Giuseppe Screto consigliano alla signora di formalizzare tutto con una denuncia ufficiale che avrebbe consentito l'avvio di indagini mirate. E finalmente la caccia dei bulli ha inizio. Quel giorno stesso una pattuglia con il vice ispettore Piccione si recò a casa di Stano che si era asserragliato in casa e si rifiutava di aprire. Dopo tante insistenze il portoncino marrone danneggiato dai calci e dalle sprangate dei numerosi raid del branco, si aprì permettendo agli agenti di prendere visione della situazione drammatica in cui si trovava quell'uomo. La storia successiva è tristemente nota. Il giorno dopo il disabile sarà ricoverato in rianimazione da dove uscirà senza vita 18 giorni dopo. La causa di morte la dirà l'esame autoptico eseguito dal medico legale barese, Liliana Innamorato che ha chiesto sessanta giorni di tempo per depositare la perizia. «Devo ringraziare il vice ispettore Piccione perché ha preso subito a cuore la questione capendo il mio stato d'animo e il pericolo che correva il povero Antonio», afferma la signora che con il marito e gli altri abitanti di quella via non ne potevano più di sentire quelle urla agghiaccianti che chiedevano aiuto. «Era passata abbondantemente la mezzanotte quando fui svegliata da un rumore più forte del solito e da urla», ricorda la signora. «La nostra stanza da letto si trova nella parte più lontana rispetto alla strada per cui non riuscivo a comprendere il senso delle parole, sentivo solo urlare ed ho riconosciuto la voce di Antonio; quando mi sono affacciata dalla finestra non ho visto nessuno ed ho chiamato per l'ennesima volta la polizia». Che a volte non andava o arrivava quando tutto era finito. Come in quel 14 marzo le cui tracce, questa volta, sono rimaste agli atti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA