Ex Ilva, la partita dell’eolico tra impianti da rinnovare e la concorrenza della Sardegna

Ex Ilva, la partita dell’eolico tra impianti da rinnovare e la concorrenza della Sardegna
​Ex Ilva, la partita dell’eolico tra impianti da rinnovare e la concorrenza della Sardegna
di Domenico PALMIOTTI
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Domenica 3 Settembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 4 Settembre, 12:09

È stata, ed è ancora Taranto, l’unica città che ospita nel proprio mare - nella rada del porto - il primo parco eolico offshore realizzato nel Mediterraneo. Non galleggiante, come prevedono i diversi progetti di eolico ora in itinere, ma fisso. Certo, ci sono voluti più di dieci anni per tagliare il traguardo, tra ostacoli, vicissitudini societarie degli investitori e lungaggini varie, ma dalla primavera 2021 il parco di Renexia, da 30 Megawatt, è realtà e produce energia pulita dal vento. In futuro, Taranto potrebbe (e dovrebbe) cavalcare ancora la spinta dell’eolico non ospitando nel proprio mare altri impianti, ma attrezzandosi per costruire e assemblare queste macchine giganti, e farne, insieme alla cantieristica navale, settore dove ci sono già segnali interessanti, un nuovo approdo per l’economia e l’impresa dopo anni di siderurgia

Da questo punto di vista, ha fornito una serie di elementi di riflessione il forum dell’1 settembre a Cernobbio col quale The European House Ambrosetti ha ufficialmente lanciato la Floating Offshore Wind Community che mette insieme Renantis (già Falck Renewables), BlueFloat Energy, Fincantieri e Acciaierie d’Italia. Dei quattro soggetti coinvolti, uno, AdI, ha sede qui e altri due, Renantis e BlueFloat Energy, sono interessati a Taranto per via della logistica del terminal container di Yilport. 

Gli spunti

«Quello che ha detto l’ad di Fincantieri, Folgiero a Cernobbio è il risultato di incontri che stiamo facendo con la stessa Fincantieri, perché da due anni sto martellando su questo tema - dichiara a Quotidiano Luigi Severini, ingegnere di Taranto, progettista del parco di Renexia e ora impegnato per parchi eolici più grandi in Sicilia e Sardegna -. Il discorso delle lamiere offshore per queste applicazioni l’ho affrontato anche con Buffo di Acciaierie d’Italia. Il tema ora è all’ordine del giorno anche in incontri importanti come quello di Ambrosetti a Cernobbio». 
«A Folgiero e a Buffo sto parlando di Taranto - prosegue Severini -.

Sì, Taranto può avere delle opportunità, ma la cosa è anche più complicata di come ne stiamo parlando. Giorni fa, per esempio, si è concretizzato un ‘blitz’ molto interessante di una società estera in un porto della Sardegna dove l’hub, in qualche maniera, è già stato progettato. In Sardegna stanno nascendo due poli per l’assemblaggio. Inoltre è in corsa anche Civitavecchia. Qui, invece, si continua a parlare».

La concorrenza

«La Sardegna, a differenza di Taranto, non ha la materia prima in casa, cioè l’acciaio che serve alle piattaforme dell’eolico? Date le dimensioni come quantità e tonnellaggio, non è certo il trasferimento dall’acciaieria di Taranto ad un porto della Sicilia o della Sardegna che preoccupa - prosegue Severini -. La quantità, voglio dire, è così enorme, così grande, che non incide nulla il trasporto. Parliamo di allestimenti industriali che prevedono più porti interessati. Tant’è che si sta parlando di una filiera di porti. Ora, è inutile illudersi che il porto di Taranto possa ospitare una cosa del genere. Ci sono però delle azioni che si stanno muovendo, anche se con un certo ritardo rispetto agli eventi, e Taranto la partita che può giocare è quella di poter fare in acciaieria e sugli sporgenti del siderurgico, a condizione che vengano ristrutturati perché nelle attuali condizioni non si possono usare, un qualcosa di interessante su cui stiamo lavorando dal 2019. Ovvero, far produrre all’acciaieria prefabbricati che consentano di abbattere notevolmente il costo dell’offshore eolico. Perché il costo, come ha detto Folgiero a Cernobbio, è un dato importante. L’ex Ilva oggi non produce lamiere offshore. Certo, facevano molti anni fa tubi per gasdotti e oleodotti, ma sono tecnologie che piano piano, quando non sono più convenienti, vengono abbandonate». 
«Qui è un puzzle con tanti tasselli - afferma Severini -. Taranto può giocarne due-tre relativamente alla filiera della produzione, ovvero di quanto serve per fare l’offshore. E sono i tasselli più importanti. A Taranto, però, sinora non c’è stato una grande eco. Ti guardano come un marziano, purtroppo è brutto dirlo, tant’è che dal 2019 su questo discorso sto lavorando tutto quanto fuori con la speranza, perché Taranto è la mia città, che ci siano poi delle ricadute. Il punto non è costruire gli impianti eolici, ma cercare di allestire una filiera di produzione e manutenzione».
Fonti Confindustria Taranto dicono di aver fatto un accordo con Renexia e di aver esaminato il progetto Renantis-BlueFloat Energy, con le quali ci sarà probabilmente un convegno, forse a ottobre-novembre. L’idea di Confindustria Taranto era quella di costruire le torri a Taranto usando le aree di Acciaierie d’Italia, creando i moduli e facendoli uscire dal porto. In questo modo si sarebbe messa in piedi una filiera del territorio. 

I nodi

Lo spunto fu inizialmente giudicato interessante, ma poi ci sarebbe stato una sorta di stop da parte di AdI sostenendo che «l’ad Morselli stava già vedendo per conto suo».
«Senza AdI in questa partita non si va da nessuna parte, se invece c’è AdI diventiamo una cosa diversa» rilevano le fonti. «Noi uno schema di progetto l’avevamo fatto e consegnato ai rappresentanti di AdI ma è rimasto lì» aggiungono. Probabilmente ora Confindustria Taranto, pur riconoscendo l’iniziativa in fieri come interessante, preferisce stare in attesa e vedere gli sviluppi più che intraprendere un’azione diretta. Anche perché molte aziende metalmeccaniche sono uscite ad inizio d’anno da Confindustria Taranto dando vita ad un’associazione autonoma, Aigi, che ha buoni rapporti con AdI, tant’è che quest’ultima l’ha anche ospitata nel suo stand a Made in Steel a maggio a Milano. 
E quindi quando Adolfo Buffo, direttore qualità e ricerca di AdI, afferma nel forum di Cernobbio che il gruppo nel progetto dell’eolico in mare «intende coinvolgere anche le competenze tecniche delle aziende del proprio indotto industriale», andrebbe capito a quale indotto si riferisce.
«Mesi fa - proseguono le fonti di Confindustria Taranto -, quando fu prospettato a AdI un certo discorso sulle lamiere offshore, la risposta fu fredda, ora se hanno cambiato idea ben venga. Ricordiamo però che ad inizio anno l’ad Lucia Morselli, davanti al ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha anche annunciato quattro progetti ed uno era relativo alla fornitura di acciaio per l’eolico in cambio di energia verde. Altrettanto ha fatto pure il ministro Aspettiamo ancora di vedere cosa si muove sull’insieme».

Una fonte tecnica qualificata interpellata da Quotidiano raffredda però gli entusiasmi. «Folgiero ha parlato di raddoppio dell’uso di acciaio arrivando a 300mila tonnellate, ma questa - si afferma - è solo una piccola parte, 5 per cento, dei 6 milioni di tonnellate che Taranto potrebbe produrre vista l’autorizzazione, ma in realtà è ben lontana da questa soglia. Se poi valutiamo 8 milioni, che dovrebbero essere la soglia produttiva del futuro, scendiamo al 3 per cento. In sostanza, non è certo l’eolico offshore che può far svoltare l’ex Ilva. E poi per produrre quell’acciaio, con lo standard di qualità che serve, devi introdurre nuovi sistemi. È possibile certo, ma bisogna fare investimenti per adeguare l’acciaieria in termini di qualità, non di quantità. La qualità non la si stabilisce nel treno lamiere ma a monte. In acciaieria. Anni fa si costruivano tubi per gasdotti e oleodotti ma l’acciaieria oggi non è più nelle condizioni di garantire lo standard qualitativo chiesto. Hanno pianificato i nuovi investimenti? Può darsi, ma con quali soldi non lo sappiamo, visto che la fabbrica è nelle condizioni ben note ed ha tanti problemi. Invece l’orientamento dell’indotto verso l’eolico offshore potrebbe essere possibile, indipendentemente da AdI, come sviluppo autonomo».

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