Ex Ilva, cassa integrazione, indotto e insoluto per il gas: tutte le incognite per il Siderurgico

La sede di Taranto di Acciaierie d'Italia
La sede di Taranto di Acciaierie d'Italia
di Domenico PALMIOTTI
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Venerdì 15 Settembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 13:47

Acciaierie d’Italia, ex Ilva, ha convocato per oggi alle 10 i sindacati metalmeccanici. La convocazione è su richiesta sindacale a fronte del mancato pagamento dello straordinario nella busta paga di agosto, erogata il 12 settembre.

Le buste paga e la cassa integrazione

Il mancato pagamento riguarderebbe qualche centinaio di dipendenti  di Taranto e anche lo straordinario per mancato cambio turno. L’azienda non ha ancora chiarito perché le ore in più non sono state retribuite. Dovrebbe farlo oggi. Intanto i delegati di Fim, Fiom e Uilm ieri hanno aggiunto un altro argomento: altoforno 1 e acciaieria 1. Si chiedono chiarimenti - dice una breve nota mandata, fra gli altri, al direttore di stabilimento Vincenzo Dimastromatteo - “visto il perdurare della fermata” dei due impianti. Fermati ad agosto, sarebbero dovuti ripartire ai primi di settembre ma non c’è ancora nulla. E quindi i sindacati, paventando che lo stop prosegua, chiedono di “applicare la rotazione del personale con mansioni fungibili ed equivalenti”. Questo per evitare che ci siano dipendenti penalizzati da una cassa integrazione prolungata. 

Gli impianti 


Ma impianti fermi e spettanze non pagate sono solo due dei problemi che affollano lo scenario molto complicato dell’ex Ilva.

Fonti sindacali riferiscono che l’altra sera al Mimit - il ministero delle Imprese guidato da Adolfo Urso - c’è stato un incontro, tuttavia novità e schiarite non se ne vedono. Mentre la produzione resta inchiodata su livelli bassi - e vede allontanarsi, ormai definitivamente, l’obiettivo dei 4 milioni di tonnellate che i vertici aziendali avevano fissato per il 2023 -, le carenze interne aumentano e resta delicata la situazione sul fronte dell’approvvigionamento del gas. Proprio ieri pomeriggio fonti sindacali hanno segnalato che in acciaieria 2 - la sola in funzione - erano in attesa di scaricare 24-26 carri siluro pieni di ghisa proveniente dagli altiforni. La coda si è formata perché ci sarebbe un insufficiente numero di siviere. «È un’altra conseguenza della pessima gestione della fabbrica - commentano le fonti sindacali -. Che si pretende se gli approvvigionamenti sono al lumicino, le materie prime e i materiali di consumo scarseggiano e i fornitori non si pagano?».

La protesta delle ditte dell'indotto

 
A tal proposito, arrivano avvisaglie di conflitto dalle imprese dell’indotto che sono in Aigi, l’associazione che ha raccolto le realtà fuoriuscite ad inizio d’anno da Confindustria Taranto. “Gli imprenditori non intendono, per l’ennesima volta, essere considerati vittime sacrificali ed è per questo che l’assemblea delle aziende ha deciso, all’unanimità, di proclamare lo stato di agitazione dichiarando, inoltre, l’organizzazione di manifestazioni di protesta”, dice l’Aigi. Per la quale c’è “un silenzio che ha il sapore della morte, mai annunciata ma decisa da tempo, e che potrebbe portare ad una nuova, ancora più nefasta, amministrazione straordinaria”. Secondo l’associazione, “mancano certezze, mancano risposte dalle istituzioni locali e nazionali. Il rischio concreto è la chiusura dello stabilimento e con esso il collasso delle aziende dell’indotto e la messa in libertà del personale alle prese ormai dai troppo tempo con un grave stato di sofferenza finanziaria”. “La situazione di paralisi della fabbrica è sotto gli occhi di tutti - affermano le imprese dell’Aigi -. Manca la produzione, autorizzata dalle normative vigenti a sei milioni di tonnellate l’anno, manca la programmazione e un piano industriale di rilancio di quello che è ancora il colosso siderurgico più grande d’Europa e alla cui produzione d’acciaio è legato il prodotto interno lordo non solo regionale ma anche e soprattutto dell’intera nazione”. E allora, si conclude, “se è vero che l’acciaio prodotto a Taranto garantirebbe all’Italia di non acquistare il prodotto dalla Cina o dai competitor europei per realizzare le grandi opere in cantiere, Il Governo e il socio privato devono necessariamente fornire risposte al territorio, alle imprese e ai lavoratori”. 

Il pagamento del gas


E c’è un’altra spia rossa che si accende sul cruscotto ex Ilva: la fornitura di gas. Che è tornata ad essere un problema. Quotidiano Energia ha scritto di un insoluto di 430 milioni al 30 giugno e di pagamenti a rate da parte della società. L’Arera, l’Autorità per l’energia, il 7 settembre ha disposto con una delibera del presidente Stefano Besseghini “che il servizio di default trasporto nei confronti della società AdI sia erogato fino al 30 settembre 2023, in deroga al termine di sessanta giorni stabilito dalla deliberazione 249/2012/R/gas, a condizione che siano puntualmente rispettati dalla medesima società i pagamenti delle fatture per il servizio usufruito”. Inoltre, “in considerazione delle finalità e della natura transitoria del servizio di default trasporto”, AdI è stata invitata ad aggiornare “tempestivamente l’Autorità in merito alle attività intraprese al fine di trovare un venditore sul libero mercato quanto prima, comunicando, al termine del corrente mese, eventuali difficoltà incontrate”. Difficile però, essendo l’ex Ilva azienda ritenuta strategica, che la fornitura in default si fermi dopo il 30 settembre e che il gas non arrivi più. Una soluzione sarà comunque trovata, come già accaduto in passato, ma dipenderà dal ministero dell’Ambiente, essendo politica energetica, e non dall’Arera, sottolineano fonti dell’Autorità. 

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