Addio ad Antonio, funerali blindati per la vittima della baby gang
Vertice in procura per individuare i responsabili tra gli indagati

La cerimonia in forma privata
La cerimonia in forma privata
di Nazareno DINOI
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Lunedì 29 Aprile 2019, 12:46 - Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 08:57
Funerali blindati per Cosimo Antonio Stano, il sessantaseienne manduriano per la cui morte sono indagati 14 ragazzi del posto, dodici dei quali minorenni. La cerimonia funebre, per volere dei parenti, è stata fatta in forma strettamente privata nella piccola chiesetta di Sant’Anna situata all’interno di una casa di riposo. Un luogo recintato il cui ingresso è stato riservato solo ai parenti più stretti.
Per sfuggire alle telecamere la famiglia di Stano aveva diffuso una falsa notizia sulla chiesa dose si sarebbe dovuto tenere il rito. Una cinquantina di persone ha partecipato alle esequie. Sul feretro la sorella ha deposto una corona di fiori composta da rose arancioni e orchidee bianche.
A seguire la messa funebre officiata da don Domenico Spina della parrocchia di San Michele Arcangelo c’erano una trentina di persone. Il personale dell’agenzia funebre «La Pietà» di Manduria a cui la famiglia ha affidato il compito del funerale, ha provveduto a tenere lontani i numerosissimi giornalisti e le telecamere che dopo un primo momento di disorientamento sono riusciti comunque ad individuare il luogo del depistaggio.

Il vertice in procura per individuare i responsabili
Ha permesso di focalizzare il ruolo avuto da alcuni indagati nelle violenze fisiche e psichiche che avrebbero in qualche modo causato la morte di Antonio Stano la riunione operativa svoltasi questa mattina presso la Procura di Taranto, alla quale hanno partecipato anche i procuratori del Tribunale ordinario, Carlo Maria Capristo, e per i minorenni Pina Montanaro. La riunione - a quanto è dato sapere - ha permesso di imprimere un forte impulso alle indagini della Polizia, anche sulla base dei risultati parziali dell'autopsia. Un'accelerazione che induce ad ipotizzare una svolta imminente negli accertamenti sulla morte di Stano, il 66enne vittima di un gang criminale che lo perseguitava e picchiava da tempo a Manduria, nel Tarantino.
I magistrati avrebbero anche individuato le precise responsabilità per alcuni dei 14 indagati, 12 dei quali minorenni, per i quali si procede per concorso in omicidio preterintenzionale, stalking, rapina, danneggiamento e violazione di domicilio. Nelle mani dei magistrati della Procura ordinaria e minorile vi sono i dati parziali dell'esame autoptico. C'è invece attesa per gli esami istologici attraverso i quali i magistrati potrebbero, anche in parte, stabilire il nesso di causalità tra violenze e decesso, oppure se le percosse hanno aggravato lo stato di salute di Stano fino a determinarne il decesso. 
 

Il ricordo dell'amico: Gli avevano saccheggiato casa, tolti anche ricordi mamma morta
«Ho visto l'ultima volta Antonio in ospedale, in terapia intensiva, gli ho detto: 'Antonio lotta, sei forte, ce la devi farè. Lui ha riconosciuto la mia voce, ha girato la testa, ma ho capito che era spento dentro, che non aveva alcuna voglia di vivere». Fabio Dinoi, capelli brizzolati e fisico minuto avvolto in un cappotto nero, era un amico di infanzia di Antonio Stano, il 66enne vittima delle violenze di una gang criminale e morto a Manduria il 23 aprile scorso, dopo tre interventi chirurgici e uno shock settico. Antonio e Fabio si incontravano quasi tutti i giorni in un bar di Manduria, davanti ad un caffè. «Dal 25 o il 26 marzo non l'ho visto più, era sparito. Lui - racconta Fabio -, nonostante io fossi l'unico con il quale scambiava qualche parola quando prendeva il caffè al bar, non mi ha mai parlato delle violenze subite. Non mi ha detto nulla perché era riservato e orgoglioso. Nessuno di noi pensava che lo torturassero, nessuno sapeva che fosse vittima dei bulli, che subisse torture fisiche e psicologiche. Sapevamo invece che qualcuno lo prendeva i giro». «Una volta - ricorda - ho visto che dei ragazzi bussavano alla porta di casa sua», al numero 8 di via San Gregorio Magno, «sono intervenuto e li ho sgridati, così come ha fatto il parroco della chiesa vicina in un'altra occasione. Avessi saputo di quello che gli facevano davvero i bulli sarei stato con lui anche la notte per affrontarli». Non vedendolo per una settimana al bar, Fabio è andato a casa di Antonio. «Era il 2 o il 3 aprile. Ho bussato e mi ha aperto il nipote. Mi ha spiegato quello che era accaduto». «Casa di Antonio era stata ripulita, forse da questi ragazzi. Gli avevano tolto i ricordi della mamma morta e molte altre cose». Antonio aveva rapporti con la sorella e il nipote - racconta Dinoi - ma non erano costanti. «Spero che la sua morte - conclude - serva a portare un seme di coscienza a questi ragazzi, altrimenti non sarà servita a niente. Questi giovani riempivano il loro vuoto con la sofferenza altrui».







 
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