Università, si laureano più donne che uomini ma lavorano e guadagnano meno

Università, si laureano più donne che uomini ma lavorano e guadagnano meno
di ​Giuseppe ANDRIANI
5 Minuti di Lettura
Lunedì 21 Agosto 2023, 05:00

In Puglia, come nel resto d’Italia, le donne che si laureano sono molte di più degli uomini. Ma hanno maggiore difficoltà a trovare un’occupazione stabile e soprattutto guadagnano meno. Capita in Italia, e accade anche in Puglia, dove il gender gap è ancor più marcato. Uno studio dell’osservatorio sulle università Talents Venture, mette a nudo i limiti del sistema accademico italiano nelle differenze tra uomini e donne. Differenze di genere che intanto coinvolgono le possibilità di fare carriera all’interno dello stesso mondo universitario italiano.

«Le evidenze mostrano che più si “scala” la piramide gerarchica interna agli atenei, minore è la presenza di donne rispetto ai colleghi uomini». E cioè: tra i laureati le donne sono in netta prevalenza rispetto ai colleghi uomini, come lo sono - del resto - anche tra gli iscritti ai vari corsi.

Certo, vi sono alcune specificità nelle quali la situazione è ribaltata. E ne è un esempio il Politecnico di Bari, dove le studentesse sono esattamente la metà rispetto agli studenti maschi, ma sono casi isolati e perlopiù legati a determinate materie (su tutte Ingegneria). Il caso, poi, esiste anche al contrario: a livello nazionale le donne iscritte a Scienze della Formazione Primaria rappresentano il 95% del totale. E c’è un problema anche a livello di materie Stem, laddove continuano a prevalere gli uomini. Questo, chiaramente, incide anche sull’aspetto occupazionale.

La carriera


Con ordine, il primo nodo dello studio riguarda la possibilità di fare carriera in ambito accademico. Nell’ultimo anno in Italia il 57% dei laureati è donna (in Puglia la percentuale è persino superiore). Ma quando si arriva, poi, ai professori di prima fascia il genere femminile rappresenta soltanto il 26% del corpo docenti. «Sebbene negli ultimi anni la presenza di donne ai vertici dell’organico accademico stia aumentando, siamo ancora lontani da una vera parità di genere. Complici alcuni fattori storici, generazionali e culturali, le donne, nonostante rappresentino la maggioranza delle laureate, sono ancora sottorappresentate nelle più alte cariche degli atenei italiani: si pensi che solo due atenei italiani sui 92 hanno una donna in entrambe le cariche di vertice, quella di direttore generale e di rettore. Al contrario sono 59 gli atenei in cui coesistono due uomini nelle cariche di dg e rettore», il commento di Giorgio Bianchi, ceo e co-founder di Talents Venture, che ha curato il rapporto. 

I dati in Puglia


E in Puglia? Un’elaborazione di Quotidiano mette in evidenza come qui la percentuale di laureate donne rispetto ai colleghi uomini sia ancor maggiore che nel resto d’Italia. I dati di Almalaurea del 2023, riferiti al 2022, spiegano che per l’Università di Bari il numero di donne che hanno conseguito il titolo rappresenta il 66,9% del totale. Per Unisalento si arriva al 66%. Numeri superiori rispetto al 57% di media a livello nazionale (tenendo conto anche degli atenei privati e delle telematiche). La situazione è identica a Foggia. 
Cambia il quadro, però, quando si va a studiare il numero di occupati. Gli uomini laureati a cinque anni dal conseguimento del titolo di studio riescono a trovare un lavoro con maggiore facilità. Nel 2022, ad esempio, i laureati maschi di Unisalento che hanno trovato occupazione sono il 92,4% del totale (dato in crescita ed è sicuramente un fattore più che positivo), mentre le donne si fermano all’80%. A Bari la differenza è di quattro punti percentuali, comunque a favore degli uomini. Rappresenta un caso isolato UniFoggia, ma è pur vero che tanto il tasso di occupazione quanto il dato sui laureati in termini assoluti, sarà anche per la maggiore vulnerabilità del sistema economico Foggiano, è più basso. 

Lo stipendio


E il divario aumenta quando si parla di... stipendio. In media, una laureata a Lecce guadagna 1.424 euro al mese (a cinque anni dalla laurea), un collega maschio oltre duecento euro in più. Uno scarto identico anche per l’Università di Bari e per quella di Foggia. I dati parlano chiaro: le donne sono più “brave” negli studi ma trovano lavoro meno spesso e soprattutto guadagnano meno. Anche perché, secondo quanto emerge, hanno meno possibilità di fare carriera. Insomma, il retaggio “cultural-patriarcale” resta vivo, al Sud come al Nord. E se c’è un gender gap nelle carriere universitarie, è chiaro che lo stesso problema esiste anche fuori dal mondo accademico. Anzi, è probabilmente ancor più forte e urgente da risolvere.
«Per promuovere la chiusura del gender gap - ha detto l’economista Carlo Valdes nel corso dell’evento di presentazione del rapporto nazionale di Talents Venture -, il sistema universitario può adottare già da oggi due strategie operative. Primo, occorre aumentare la partecipazione delle donne ai corsi di laurea Stem, studiando apposite iniziative di orientamento di I livello nelle scuole superiori. Secondo, è necessario migliorare i risultati occupazionali dei corsi ad elevata partecipazione femminile (in particolare, quelli nelle materie dell’educazione, della formazione e della psicologia). Come? Studiando appositi accordi con le imprese e assicurando che in questi corsi vengano impartiti insegnamenti moderni e orientati al lavoro, in grado di assicurare alle neo-laureate maggiore potere contrattuale nell’ingresso nel mercato del lavoro». Quel che resta, per ora, è un abisso.
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