I 2.500 alberi spostati nel Salento da Aqp? Zero mugugni (e grande soddisfazione)

Gli ulivi spostati da Acquedotto
Gli ulivi spostati da Acquedotto
di Francesco G. GIOFFREDI
3 Minuti di Lettura
Giovedì 30 Marzo 2017, 13:58 - Ultimo aggiornamento: 13:59
Prendete i 211 ulivi che Tap vorrebbe espiantare e moltiplicateli per dieci. Anzi: qualcosa più di dieci, esattamente per 11,8 - o giù di lì. In tutto fa 2.500 alberi, chiome lucenti che occhieggiano tra Leverano, Nardò e Porto Cesareo, spicchio di Salento non meno nobile e suggestivo dell’area a ridosso di San Foca. Quei 2.500 ulivi oltre un anno fa sono stati espiantati da Acquedotto pugliese col loro stesso humus, temporaneamente parcheggiati in un vivaio per un periodo di “incubazione” e infine riposizionati nell’iniziale habitat (anzi: nella stessa particella di espianto). Di fatto, è l’iter programmato da Tap. Per Aqp è stata un’operazione in guanti bianchi, senza cioè dover fronteggiare o rintuzzare rabbia e proteste del territorio oppure diffide delle amministrazioni comunali coinvolte o solo lambite. Zero: nemmeno un presidio, né una nota stampa al vetriolo. Nel frattempo, Acquedotto proprio oggi celebra il primo anno dal reimpianto in sito dei 2.500 ulivi: data affatto casuale, perché ora come allora è la Giornata mondiale dell’acqua.

Per quale motivo Aqp ha espiantato quegli alberi? Per realizzare l’Acquedotto del Sinni, dorsale jonico-salentina del grande reticolo dell’acqua pugliese. Una condotta - 40 milioni di finanziamento Cipe, pianificazione della Regione, diametro di 1.400 millimetri, lunghezza 37,5 chilometri, realizzata in acciaio - che collega il serbatoio di San Paolo (in agro di Salice Salentino) al serbatoio di Seclì. E se nel maggio 2015 era stato completato il primo stralcio funzionale dell’opera (potenziando così l’alimentazione idrica dei comuni di Veglie, Leverano, Copertino e delle marine di Nardò e Porto Cesareo), la chiusura dei lavori nel settembre scorso ha permesso di allacciare alla rete Aqp gli ulteriori 25 chilometri sotterranei lungo Leverano, Nardò e Galatone. Proprio quest’ultimo segmento della condotta ha richiesto l’espianto dei 2.500 ulivi. Anzi: «la salvaguardia dei 2.500 ulivi», come scandiva trionfalmente il comunicato stampa dell’azienda. «Ogni singola pianta, censita con un’apposita targa, è stata, a scavi ultimati, ricollocata al proprio posto, lasciando inalterato il paesaggio».

È quello che, carte alla mano, avrebbe progettato Tap per i 211 ulivi. Del resto, le norme nazionali anti-xylella sulla movimentazione delle piante non lasciano grandi spiragli. E dunque: preparazione all’espianto (potatura della chioma, disinfezione, zollatura, imbragatura e carico sul mezzo di trasporto); trapianto nel sito di stoccaggio (preparazione della buca, sistemazione di telo anti-radice o di cassoni sul fondo della buca, fornitura e sistemazione di humus per l’allettamento del fondo, rinfranco e rinterro dell’apparato radicale); le successive cure colturali; e infine il percorso inverso, con geolocalizzazione degli alberi in modo da impiantarli nel sito d’origine.

Emiliano. A settembre, all’inaugurazione a Seclì della condotta griffata Aqp, Michele Emiliano così scandiva: «Quando si realizzano grandi opere, il sacrificio dell’ambiente è quasi inevitabile. Però quando un’opera è richiesta dal basso, condivisa dalla popolazione e chi la realizza ha la massima cura nel costruirla – qui sono stati espiantati oltre 2.000 ulivi e trasferiti con grande attenzione – questa ha una grande comprensione da parte del territorio. La popolazione comprende il sacrificio che c’è da fare e ne sostiene la realizzazione, nonostante i disagi del cantiere. Se qui ci avessero detto che c’era un sistema meno invasivo per realizzare questo acquedotto, probabilmente lo avremmo accolto. E dimostriamo così che il Salento sa sopportare anche i sacrifici ambientali: di questo dobbiamo ringraziare tutta la comunità locale».
Qual è la radicale differenza tra lo spostamento degli ulivi a cura di Aqp e di Tap? Dagli uffici della Regione sentenziano che «il problema non sono gli ulivi da spostare, ma è l’assenza di un progetto esecutivo di un’opera compiuta, visto che nel caso del gasdotto non abbiamo né il progetto esecutivo né l’opera compiuta». Questo è l’angolo visuale (giuridico e amministrativo) della Regione. Per tutto il resto, ci sono paura e indignazione del territorio. Quasi sempre.