In classe gli smartphone chiusi in un cassetto: la proposta fa discutere

In classe gli smartphone chiusi in un cassetto: la proposta fa discutere
di Giuseppe ANDRIANI
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Martedì 20 Settembre 2022, 16:19 - Ultimo aggiornamento: 18:23

Lo smartphone chiuso in un cassetto per tutta la durata delle lezioni. Ritorno al futuro per gli studenti. L'idea, messa in pratica per il momento dalle Scuole Malpighi di Bologna, poi ripresa, copiata o contestata da diversi istituti in Italia, arriva dall'Emilia e dalla rettrice Elena Ugolini. Non è la scena di un film di Paolo Genovese, un Perfetti sconosciuti in aula, è una proposta che si fa strada tra i presidi. E diversi sono i docenti che si sono già detti favorevoli. Secondo un'indagine di Studenti.it in un istituto su quattro questa regola è già presente e bisogna consegnare lo smartphone all'ingresso per poi riprenderlo soltanto all'orario di uscita. Utilizzare il telefono a scuola è vietato dai tempi di Fioroni al Miur, il primo a normare l'utilizzo della tecnologia nelle aule, la novità che viene da Bologna è un'altra: non è solo vietato usare lo smartphone, è proprio da consegnare all'ingresso. Negli ultimi anni la situazione è cambiata e questo anche fuori dalle quattro mura di una classe: otto giovani italiani su dieci sono a rischio di dipendenza dallo smartphone (fonte: inchiesta Smartphone addiction: vissuto dei giovani e strumenti di contrasto, realizzata dall'Eures in collaborazione con la Regione Lazio e il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali). E a scuola il rischio è che utilizzare il telefono possa aumentare le distrazioni dei ragazzi e - dicono dalla Malpighi - annullare o quasi la dimensione sociale a scuola. Tutti curvi sullo schermo a ricreazione? Gli studenti respingono questa visione (da boomer?), ma secondo Studenti.it uno su tre degli intervistati dice che oggettivamente avere il telefonino durante la lezione costituisce una distrazione.

Il dibattito

E il mondo della scuola si divide. Tendenzialmente, studenti contrari alla norma, insegnanti favorevoli, genitori... dipende dai casi. Su Il Mattino, Alessandra Graziottin la pone sulla dimensione sociale, ma fa accenno anche a quanto la luce dello smartphone possa far male alla salute. «È vitale - scrive l'opinionista - aiutare i nostri figli a staccare quell'insidioso e consolatorio biberon, a liberarsi di una dipendenza sempre più maligna per la loro crescita. Farlo è indispensabile per stimolarli a crescere nella vita reale, per riaprirsi ai contatti umani veri, e non virtuali, sia durante le lezioni, sia durante l'intervallo. È essenziale perché reimparino ad ascoltare: il compagno di banco, l'amico, l'insegnante. Ascoltare concentrati, una cosa alla volta: attenti al dialogo faccia a faccia, ai toni di voce, alla mimica del volto e del corpo, sviluppando quell'intelligenza emotiva che cresce solo nella vita reale che è alla base della serenità interiore, del sentirsi parte di, e non disperatamente soli».
Al di là della retorica degli studenti di oggi più distratti di quelli di ieri (ciclicamente ripetuta, come una serie di altre considerazioni di questo genere), mette i brividi il concetto di ragazzi più sensibili a depressione e ansia perché sensibili alla luce dello schermo.

Esiste una letteratura, scientifica e sociale sul tema. La scuola, intanto, per quanto divisa sull'argomento, fa quel che può. Ma la lezione che viene da Bologna, l'esperimento delle Scuole Malpighi, ha una portata ancor maggiore: all'ingresso a scuola nel famoso cassetto finiscono tanto gli smartphone dei ragazzi quanto quelli dei professori. Utilizzo vietato anche per loro. Una lezione, nell'esperimento.

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