Riaperture, serve l’ok del Sud per il via libera del 3 giugno

Riaperture, serve l’ok del Sud: «Così si parte tutti insieme»
Riaperture, serve l’ok del Sud: «Così si parte tutti insieme»
di Simone Canettieri Marco Conti
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Mercoledì 27 Maggio 2020, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 20:51

Riaprire la mobilità del Paese, anche a fronte di dati controversi in Lombardia e Piemonte, a patto che i governatori del Sud mettano per iscritto che la loro non belligeranza. Ovvero rinuncino a qualsiasi forma di quarantena o richiesta di passaporto sanitario per chi proviene dalle regioni del Nord. È uno degli scenari su cui sta ragionando il governo in vista di venerdì, quando si sapranno le pagelle delle varie regioni e in base a quelle si stabilirà se far scattare la mobilità tra un territori. 



L’attesa è per i dati che verranno forniti dal ministero della Salute che ha avviato un monitoraggio nelle regioni e che permetterà di capire se è possibile riaprire agli spostamenti infra-regionali già dal prossimo 3 giugno o invece attendere un’altra settimana almeno in alcune regioni dove la movida impazza e preoccupa i presidenti di regione. 

Questi ultimi continuano a sollecitare il governo affinché metta mano alle nuove linee guida che dovrebbero anche evitare il “fai da te” dei governatori. Le possibili ed estemporanee iniziative dei presidenti di regioni preoccupano i ministri Di Maio e Boccia e lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ieri ha nuovamente affrontato il problema delle riaperture nel corso del vertice di maggioranza chiamato a discutere anche di election day. 
 

 

Il tentativo del premier è quasi pedagogico nei confronti dei partiti di maggioranza e opposizione. Sbagliare l’ultimo passaggio, quello della riapertura totale del Paese, potrebbe infatti costare caro. È per questo che si valutano con attenzione specie i dati di due regioni da tempo sotto osservazione: il Piemonte e la Lombardia. Due regioni dove i casi scendono, ma i nuovi contagi continuano a rappresentare più della metà del numero nazionale. D’altronde, vista al contrario, il timore dei governatori del Centro-Sud sono gli asintomatici lombardi o piemontesi che, in vacanza in Puglia, Calabria o Sicilia, potrebbero creare focolai di infetti che sinora il Mezzogiorno non ha conosciuto. 

Su questo aspetto hanno ragionato ieri Boccia e Fontana, il ministro e il governatore dopo gli scontri violenti della Fase 1 hanno concordato entrambi sulla «cautela» da adottare in vista del 3 giugno.
 

Da parte del presidente della Regione Lombardia è emersa la consapevolezza di quanto sia delicato quest’ultimo step. «Il primo a non voler commettere passi falsi sono io», è stato il ragionamento del governatore. Le decisioni sono vincolate ai dati, e in base a quelli il governo prenderà una decisione sulla mobilità della Lombardia (e anche del Piemonte). 

Ma a Milano inizia a serpeggiare quasi una rassegnazione a quello che a Roma, fonti governative, chiamano «l’ultimo sacrificio, necessario». 

Il sindaco Beppe Sala ha chiesto velocità nel comunicare l’eventuale proroga della chiusura dei confini regionali: «Non possiamo saperlo il giorno prima». Fin qui il fronte del Nord-Ovest, poi c’è il Sud che appunto inizia a far trapelare selezioni e regole d’ingaggio per chi arriverà dal Nord. «Sarebbe sgradevole», dice infatti Boccia a proposito di un’organizzazione fai da te dei governatori nella gestione dei flussi. E dal ministero della Sanità arriva uno stop ulteriore, che sembra bocciare definitivamente qualsiasi strada che contempli passaporti sanitari. «Né per gli immuni, né per i negativi», tagliano corto dal dicastero guidato da Roberto Speranza.
 
 

Il governo dunque prende in considerazione tutti gli scenari. Il primo, il migliore: davanti a dati positivi omogenei nel Paese il via libera erga omnes. Il secondo: la chiusura dei confini per una settimana-dieci giorni delle regioni ancora a rischio. 

Il terzo: un’apertura per tutti, anche davanti a «dati controversi», purché i governatori del Sud sottoscrivano un patto, una sorta di nullaosta, che li impegni a non erigere «muri sanitari» per chi proviene dal Nord.
Una partita a scacchi che mette ancora al centro la ricerca di una linea comune e condivisa. 

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