Moda, Carlo Capasa: «Il lusso sceglie la Puglia perché le aziende lavorano bene»

Carlo Capasa
Carlo Capasa
di Pierpaolo SPADA
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Sabato 16 Settembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Settembre, 18:58

Presente e futuro: qual è la reale prospettiva per la filiera locale della moda sotto i colpi del mercato e del riassetto dei brand? Il presidente della Camera nazionale della moda italiana, Carlo Capasa, rassicura, ma «a patto che si punti in alto». Se n’è parlato tanto ma, di fatto, se ne sa davvero poco. «D’investimenti non s’è discusso proprio», ha riferito a Quotidiano Antonio Filograna Sergio, pur auspicando nuove opportunità.

Capasa, a lei cosa ha fatto pensare la visita di Bernard Arnault martedì negli stabilimenti dell’imprenditore di Casarano?
«È bene che ci sia attenzione per la Puglia e per il Salento. Ma noi sappiamo che tutti i grandi brand italiani e stranieri di alta qualità lavorano con ottime aziende pugliesi. E la visita di Arnault non fa che riaffermare quest’attenzione per la Puglia e i suoi distretti e per quanto bene stiano lavorando molte delle sue aziende, fino a essersi guadagnate tali rapporti privilegiati».

Con un occhio anche al “domani”, c’è da stare davvero tranquilli? Dopo la ripresa post Covid, dalla fine del 2022 varie flessioni negative continuano a susseguirsi per alcuni noti brand (vedi Borsa e ricavi) e, di riflesso, sulla filiera locale. In Salento è già riapparsa pure la cassa integrazione. E, con sguardo al Paese, Assocalzaturifici oggi riferisce che «il primo semestre 2023 si chiude in positivo, ma con più di un’ombra sull’evoluzione futura”: calano quantità esportate e realizzate. 
«Io credo che chi sta investendo non corra rischi e sarà premiato.

Sono dell’idea che chi investe in un segmento vincente avrà il riconoscimento atteso. C’è e ci sarà una differenza fra le aziende che investono in qualità e quelle che, magari, hanno investito su segmenti di mercato che oggi sono più in crisi. Sempre di più ci si rivolge all’Italia per produrre alta qualità».

La dinamica di riassetto sta interessando quasi tutti i brand che producono qualità. Ma le oscillazioni di mercato che li stanno riguardando sono ricondotte anche alle dinamiche di mercato influenzate da vari fattori (guerre incluse). Avverte già segnali di ripresa consistenti? 
«La moda sta andando bene. Il settore ha chiuso un 2022 importante, con un 22% di crescita rispetto al 2021. Crediamo che nei primi 6 mesi il 2023 sia cresciuto del 7,5% e, prudenzialmente, che nell’anno cresca intorno al 4,5 per cento. La moda è la seconda industria del Paese ed è in ottima salute. Per coglierne al massimo le potenzialità in questo momento occorre però, come dicevo, investire sull’alta qualità».

Qual è l’orizzonte? I brand continueranno a investire sulle aziende locali come oggi fanno o, come in qualche caso è già accaduto, è ormai matura l’intenzione di farlo direttamente, acquisendo cioè le fabbriche e producendo sotto la propria insegna? 
«Un comparto che riesce a produrre qualità di alto livello non può più essere considerato “contoterzista” secondo la vecchia concezione. Si tratta di essere partner di grandi brand diffusi nel mondo. Quindi, è difficile che un’azienda di dimensioni piccole possa approcciare ai mercati internazionali in una maniera corretta. Io credo che fare un ottimo lavoro in partnership con grandi marchi o con marchi che hanno posizionamento di alto livello sia giusto oltre che conveniente».

La manodopera per garantire efficacia a tali partnership continua, tuttavia, a mancare: come se ne esce? 
«Bisogna lavorare sulla formazione, sull’education. Se oggi c’è un tema è proprio quello di come formare la manodopera e come trasmettere il nostro sapere-artigiano ai giovani, motivandoli: perché può essere anche molto bello e remunerativo».

È un appello alla politica?
«Sì, assolutamente. Noi abbiamo fatto tante proposte per migliorare l’istruzione tecnica e consentire alle accademie interne alle aziende di lavorare. Proposte anche di poter usare i grandi artigiani che vanno in pensione come formatori. Si possono fare tante cose: alcune le abbiamo suggerite al governo e ci auguriamo che siano accolte, perché già oggi ci sono 40mila posti vacanti e sono richieste specializzazioni, abilità e competenze che non sempre si trovano».

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