L'intervista all'architetto Mariavaleria Mininnii: «Il paesaggio è in continua trasformazione, non ripetiamo gli errori del passato»

L'intervista all'architetto Mariavaleria Mininnii: «Il paesaggio è in continua trasformazione, non ripetiamo gli errori del passato»
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Venerdì 1 Settembre 2023, 05:00

Mariavaleria Mininni è architetto, ricercatrice di ecologia e professore associato di Urbanistica all’Università della Basilicata, specializzata in Architettura del Paesaggio. Ma conosce bene la Puglia perché, dopo essere stata docente alla “Federico II” di Napoli, ha insegnato al Politecnico di Bari. «Abbiamo partecipato alla stesura di una strategia di ricostruzione post Xylella dell’area interna del Salento, nell’ambito della convenzione stipulata dalla Regione Puglia con il Dipartimento di Ingegneria civile e dell’Ambiente del Politecnico di Bari - dice - e con le altre Università pugliesi. Siamo state felici, io e l’architetto Giovanna Costanza, che ha avuto un ruolo importantissimo, di portare le idee dell’Università della Basilicata dentro un progetto così importante». 

Professoressa, qual è stato, nello specifico, il vostro contributo al progetto sperimentale “Terre pioniere”?
«Abbiamo seguito la fase di ascolto “Quale paesaggio pensi di essere”, con tutti i portatori di interesse che hanno voluto partecipare, per poi stendere delle linee guida comuni. Insieme agli architetti del Lua, Iuri Battaglini e Mauro Lazzari, abbiamo avuto modo di ascoltare direttamente la voce del territorio. Nell’ambito dei paesaggi degradati che abbiamo esaminato, si è cercato di recepire ciò che la scienza suggerisce e di intercettare nuove linee di finanziamento che aiutassero a portare avanti il programma di riforestazione e rinaturalizzazione del territorio salentino».
Ci spiega cosa si intende per ricostruzione del paesaggio?
«Si pensa da un lato di riconfermare la piantumazione di uliveti, premiando nuove cultivar resistenti a Xylella e ripristinando così le filiere agroalimentari cui il Salento era legato.

Perché non va dimenticato che all’olio era sottesa una cultura profonda, un’identità culinaria e rurale, con manufatti storici che devono trovare una loro collocazione attuale. Dall’altro lato, nell’ottica di aiutare la biodiversità, oggi fortemente compromessa, immaginiamo di investire anche su altre cultivar interessanti e non idro-esigenti, vista la scarsità d’acqua del territorio di riferimento».

Ci faccia qualche esempio.
«Abbiamo per esempio 36 cultivar di fico fra le quali scegliere. Ma va specificato che in questa dimensione pioniera, le specie scelte oggi potrebbero non essere quelle “definitive”. Potremmo avere una fase di transizione, utile anche a consolidare gli “affetti”, gli elementi più riconoscibili e vicini del paesaggio, in un’ottica evolutiva, fino a una presa di coscienza piena dei produttori e dei contadini».
Che cosa intende? Sta dicendo che le specie che si andranno a piantare ora potrebbero poi essere sostituite? 
«Dico che i paesaggi sono in movimento. Per quanto doloroso sia, anche il panorama legato al passaggio della Xylella fa parte di una condizione temporanea, la natura è soggetta a modifiche ed è sempre la protagonista. Nostro compito è accompagnare un processo di rigenerazione del paesaggio, contemplando anche la necessità di creare lavoro perché l’agricoltura è una tradizione che sul territorio salentino va perpetuata. Poi si vedrà. Può accadere, per esempio, che una specie si riveli poco “generosa”, che non funzioni. “Terre pioniere” mira proprio a questo, a far sedimentare una nuova concezione del paesaggio, che è e sarà sempre in movimento».

Anche a causa dei cambiamenti climatici, per esempio.
«Certo. Oggi come oggi la scarsità d’acqua limita fortemente le specie da considerare valide. Una volta indicate quelle più adatte, la selezione deve avvenire per via naturale. Le linee guida da noi redatte indicano quali possono essere le risorse utili in base alla disciplina agroecologica, ci dicono insomma ciò che conviene fare perché gli interventi diano buon esito e ci dicono anche come attingere alle fonti di finanziamento. Per quanto riguarda invece le porzioni di terreno più povere, si dovrà rinaturalizzare. Guai se ci fosse abbandono o scoraggiamento. L’impegno collettivo deve mirare a immettere nuova energia nel raggiungimento di questo comune obiettivo, modificando anche il nostro modo di ragionare. Entriamo tutti nell’ottica che la transizione è una condizione del nostro essere, tutto è in movimento, anche la terra». 
Ma quanto ritiene ci vorrà per completare una simile ricostruzione?
«La risposta a questa domanda non può venire dalla scienza, ma solo dalla politica. Il nostro lavoro di consulenza si è concluso e vorremmo che se ne continuasse a parlare perché l’impressione è che non si sappia che studio è stato fatto. In un luogo nel quale il turismo è una risorsa, comunicare nella maniera giusta è importante, far camminare l’idea che il Salento c’è e funziona, così da coinvolgere più persone possibili nel processo di riforestazione ed evitare che, nel vuoto, ognuno metta a dimora quello che vuole». 

Le è mai accaduto di affrontare una ricostruzione così imponente, una sfida così grande?
«Certo, abbiamo affrontato sfide anche più imponenti. Pensi a quando bruciano ettari di boschi. La natura si rialza. E se l’uomo accompagna questo processo, naturalmente lo accelera e si può assistere a una ripresa più rapida».
Ma quanti alberi si perdono in un incendio? Xylella ne ha distrutti 22 milioni.
«In un rogo i danni sono di molto maggiori, se si pensa al bosco, al sottobosco e via dicendo. Gli ulivi avevano però un valore affettivo e storico diverso e la componente percettiva ha reso il disastro più pesante da digerire e affrontare, ma è solo una nostra trasposizione». 
Il suo, insomma, è un messaggio di speranza.
«Sì, pieno e totale. A questo paesaggio faremo seguire un paesaggio migliore, perché in quello precedente c’erano degli errori che hanno mostrato il fianco non appena ci sono state le condizioni adatte. L’uomo è parte integrante della natura, impariamo dall’esperienza e risolleviamoci, evitando di ripetere gli stessi errori, questo sì. Da questo punto di vista, è decisivo coinvolgere i cittadini nel fare. La politica deve accogliere, educare e accompagnare, altrimenti continueremo ad avere il deserto intorno, resterà tutto com’è oggi. La politica deve crederci: una rinascita è possibile».
 

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