«Licenziata perché era incinta»: condannato l’ex datore di lavoro. Il racconto della donna. Video

Il Tribunale di Brindisi ha accolto il ricorso presentato da un’educatrice: mandata a casa il giorno dopo avere comunicato la dolce attesa

Giorgia Marinò (a destra) insieme agli avvocati Ornella Bruno Stamerra e Marco Paladini Stamerra
Giorgia Marinò (a destra) insieme agli avvocati Ornella Bruno Stamerra e Marco Paladini Stamerra
di Erasmo MARINAZZO
3 Minuti di Lettura
Giovedì 7 Marzo 2024, 04:30 - Ultimo aggiornamento: 08:33

Licenziamento discriminatorio quello adottato l’1 aprile del 2020 per una educatrice da una cooperativa di Brindisi specializzata nell’assistenza dei pazienti psichiatrici. Perché - ha stabilito la sentenza di primo grado della giudice della sezione Lavoro del Tribunale di Brindisi, Gabriella Puzzovio - l’educatrice, la dipendente Giorgia Marinò, 38 anni, era in stato interessante. 
La decisione adottata da qualche giorno ha tenuto conto di almeno quattro circostanze: primo, la cooperativa era stata messa al corrente dalla diretta interessata di essere incinta, un giorno prima del licenziamento, il 30 marzo. Secondo: il 27 marzo era già stato diffuso fra gli operatori il prospetto dei turni di aprile che vedeva la presenza di Marinò. Terzo: nella sentenza di condanna della cooperativa al versamento di 13mila euro, sono stati valorizzati i messaggi sulla piattaforma Whatsapp scambiati da Marinò con la presidente della cooperativa. Quarto: la giudice della sentenza non ha ritenuto rilevante la relazione inoltrata il 19 marzo dalla coordinatrice alla presidente incentrata su una serie di presunte carenze professionali contestate alla educatrice, e presentate come motivo di licenziamento.

Video

(Video di Max Frigione)

ll racconto della donna tra le lacrime


Un caso raccontato fra le lacrime ieri mattina da Giorgia Marinò con affianco i legali che hanno curato il ricorso, l’avvocatessa Ornella Bruno Stamerra e l’avvocato Marco Paladini: «Accertata la natura discriminatoria del recesso “ante tempus” intimato alla ricorrente», le conclusioni della sentenza. «E per l’effetto, condanna la convenuta al risarcimento del danno in favore della lavoratrice, pari a 13mila euro».
Ora la cooperativa potrà presentare ricorso in appello. Una prospettiva che tiene conto anche della scelta di non accettare un accordo transattivo proposto dalla giudice nel corso del processo che prevedeva il versamento alla educatrice di 2.500 euro. La somma indicata della sentenza si basa sulle retribuzioni non corrisposte dal momento del recesso alla scadenza del rapporto di lavoro. Giorgia Marinò era stata assunta il 7 febbraio 2020 con un contratto a tempo determinato di un anno. Previo superamento di un periodo di prova di tre mesi. Prova che - secondo la difesa della cooperativa - non avrebbe superato indicando una serie di episodi, come anche l’approccio generale avuto dalla educatrice al suo ruolo.
Queste circostanze, come detto, non sono state ritenute attendibili nel processo: «Tanto non appare sufficiente ai fini della dimostrazione dell’esito negativo della prova, specie laddove si consideri che nessuno dei testimoni (esclusa la redattrice della nota) è stato in grado di confermare le presunte criticità denunciate in capo alla ricorrente».  Valorizzate invece le prove portate dalla ricorrente. Come la comunicazione del 30 marzo in cui chiese di essere esonerata dai turni di notte, in ragione dello stato di gravidanza. E il messaggio Whatsapp inoltrato il giorno dopo: «...non credo che domani verrò. Ho perdite e dolori. Il medico mi ha detto che devo stare un po’ a riposo e prendere il progesterone». Tutte queste circostanze hanno convinto la giudice del processo che Giorgia Marinò sia stata licenziata in ragione dello stato interessante: «Discriminatorietà del licenziamento in parola».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA