Giulia Cecchettin, in Puglia ogni giorno chiedono aiuto sei donne vittime di violenza. I numeri choc

Femminicidi, in Puglia ogni giorno chiedono aiuto sei donne vittime di violenza. I numeri choc
Femminicidi, in Puglia ogni giorno chiedono aiuto sei donne vittime di violenza. I numeri choc
di Giuseppe ANDRIANI
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Mercoledì 22 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 08:30

In Puglia in media ogni giorno accedono ai centri anti-violenza o alle Case rifugio sei donne. I dati sono stati snocciolati ieri dall’assessore al Welfare della Regione, Rosa Barone. E fanno impressione. La rete pugliese coinvolge 28 Centri antiviolenza, pubblici e privati, 49 sportelli di appoggio e 37 sportelli autonomi. Nei Cav e nei punti di ascolto lavorano professionisti formati, assicurano da Via Gentile. I Centri per uomini autori di violenza invece sono sei, uno per provincia, collegati alle reti dei servizi territoriali anti-violenza.

La repressione non basta

Non basta, però, la repressione. È quanto afferma Elsa Valeria Mignone, procuratore aggiunto della Procura di Lecce, nel pool fasce deboli: «Serve più educazione, a tutti i livelli». «Una volta ricevuta la notizia del reato - racconta spiegando la procedura -, viene iscritta a vista e viene passata a uno dei procuratori aggiunti per la qualificazione dell’ipotesi di accusa. E poi viene assegnata al magistrato del pool fasce deboli, in poche ore. Se quest’ultimo dovesse essere assente per qualunque ragione, la notizia di reato passa al magistrato di turno».
Cosa si può migliorare? La dottoressa Mignone pone l’accento sull’aspetto “umano” di chi segue le vicende.

E lancia un appello: serve un grande movimento culturale contro la violenza sulle donne. «L’approccio con questa tipologia di reati dev’essere assolutamente diverso. Il pubblico ministero dev’essere empatico, deve fare tutto ciò che serve per comprendere la gravità del caso. Servirebbe una campagna di educazione anche nei confronti della classe forense, nel momento in cui va preparata una querela da uno studio, ad esempio, e nel momento in cui viene qualificata la fattispecie del reato. Sarebbe bene non usare mai i casi da codice rosso in maniera strumentale, anche per permettere ai pool di lavorare in modo più rapido ed efficiente. Sento spesso e da più parti l’appello all’inasprimento delle pene, ma questo non basterebbe. Non è soltanto un problema di certezza della pena. Pensate al caso di Giulia, non c’è stata denuncia. Nella stragrande maggioranza dei casi, non c’è denuncia. L’educazione dev’essere globale. Dev’essere un movimento culturale che coinvolge tutti, citando le parole di Borsellino sulla lotta alla criminalità organizzata. Anche le donne devono essere educate al rispetto di se stesse e a percepire un pericolo, che spesso non viene percepito perché arriva da una persona con cui c’è un legame sentimentale. La repressione non basta». In questi giorni la Procura di Lecce sta lavorando a un protocollo d’intesa con la Asl per la trasmissione istantanea di tutti i referti che potrebbero attestare una patologia di percosse da persone legate da vincolo di affettività. E si lavora comunque d’intesa tra le parti. I tempi, assicurano gli addetti ai lavori, sono brevi. 

I numeri

In questi giorni l’appello arriva da più parti: più educazione, non basta la repressione. I numeri pugliesi dei centri anti-violenza non fanno eccezione rispetto al contesto nazionale. L’impressione è quella di una grande emergenza, culturale e non solo. Si registra un calo ma è quasi impercettibile. Nel 2022 sono stati 2.258 i nuovi accessi ai Centri anti-violenza e alle Case rifugio, 18 unità in meno rispetto al 2021. Il trend, quindi, resta stabile, visto che il calo è poco significativo. Le donne sono di nazionalità italiana per il 90% dei casi. Il 67,7% si è rivolto spontaneamente al centro anti-violenza mentre per il 32,3% dei casi si tratta di invio da altri servizi della rete locale. Fra gli autori delle violenze figurano prevalentemente il partner e l’ex partner, due tipologie di autori che rappresentano complessivamente l’80%; se aggiungiamo la percentuale che fa riferimento all’area dei “parenti” (8%), la percentuale complessiva è dell’88%. In sintesi: nove volte su dieci il colpevole è un parente, di solito il partner o l’ex che non ha accettato la separazione. Le donne più “esposte” alla violenza sono le coniugate e conviventi (43%), seguono le donne nubili (30%) e le separate/divorziate (27%). «La violenza sulle donne è trasversale alle fasce di età, ai titoli di studio, alla condizione lavorativa anche se la percentuale più alta viene registrata tra donne che hanno età compresa tra i 30 e i 49 anni (54,3%)», si legge nel rapporto diffuso ieri dalla Regione Puglia. 
È significativa anche la percentuale delle donne di età compresa tra i 18-29 anni (si attesta 18,1%). La tipologia di violenza prevalente è quella fisica (43,7%), seguita da quella psicologica (42,7%), e dallo stalking (5,4%), che resta un reato in crescendo negli ultimi anni. 
Quello che emerge dai numeri, dietro cui si celano storie spesso drammatiche e vite rovinate (se non spezzate), è una costante nell’accesso ai centri anti-violenza. La Puglia non fa eccezione in un’Italia che in questi giorni ha riscoperto l’urgenza dell’emergenza violenza sulle donne.

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