Mascherine, che caos: aziende pugliesi pronte a riconvertirsi. La beffa: produzione per la Toscana

Mascherine, che caos: aziende pugliesi pronte a riconvertirsi. La beffa: produzione per la Toscana
di Francesco G.GIOFFREDI
4 Minuti di Lettura
Lunedì 6 Aprile 2020, 08:49 - Ultimo aggiornamento: 12:19

Il paradosso in doppia copia continua. E rischia di accentuarsi ancora di più. Poche mascherine per il personale sanitario pugliese, aggrappato al quotidiano “pacco-dono” dalla Protezione civile nazionale. E mascherine quasi introvabili per i comuni cittadini. Finora consigliate, presto potrebbero diventare obbligatorie per tutti e ovunque: dopo la Lombardia, anche la Toscana ha prescritto l’uso dei dispositivi di protezione individuale; e nella tanto chiacchierata, non lontana, fase-2 della pandemia da coronavirus potrebbero essere lacollettiva àncora di salvezza. Urgono soluzioni, perciò.

«Abbiamo ottenuto le certificazioni, prime richieste dalla Toscana»: parla l'imprenditore tessile salentino
Mascherine introvabili: in Puglia produttori bloccati dalla burocrazia

Gli imprenditori (del tessile e non solo) si candidano per riconvertire la produzione o comunque per colmare il gap di dotazioni: l’Italia, così come la Puglia, è di fattocostretta a importare.Ma burocrazia, norme poco adeguate, carenza di materiali di filtraggio conformi (innanzitutto per le mascherine del personale sanitario) e certificazioni lunghe e tortuose sono sassi negli ingranaggi delle aziende. Intanto però c’è un’azienda salentina che scatta in pole: Barbetta srl (tessile) proprionelle scorse ore ha incassato la certificazione dall’Istituto superiore della sanità per il “prototipo” di mascherine chirurgiche.

L’imprenditore, dopo l’iniziale bocciatura, è riuscito a reperire sul mercato il prezioso tnt meltblown, lo strato di filtraggio prodotto per lo più in Cina e Vietnam. La prima commessa però non è pugliese: 100mila mascherine made in Salento saranno spedite in Toscana, a un imprenditore che a sua volta le destinerà alla Regione. Insomma: una beffa. Barbetta è peraltro uno dei firmatari della lettera-appello, sottoscritta per ora da 11 imprenditori, indirizzata sabato aMichele Emiliano: «Abbiamo bisogno - scrivono - che la Regione sia al nostro fianco. Per questo chiediamo indicazioni chiare e univoche sul reperimento della materia prima necessaria, sulla rete dei laboratori pugliesi che possano testare i nostri tnt e i nostri materiali, sulla costituzione di gruppi d’acquisto locali e di un canale di distribuzione protetto per tutto il territorio regionale».

«Siamo in grado di poter produrre centinaia di migliaia di mascherine al giorno, ma anche camici, calzari, cuffie monouso e scafandri. Abbiamo bisogno di interloquire rapidamente con l’Istituto superiore della sanità e con l’Inail, per questo chiediamo su base regionale scelte rapide e semplici». I colli di bottiglia sono perlopiù due: la caccia al tnt meltblown (nemmeno il decreto “Cura Italia”, che pure avrebbe dovuto semplificare le procedure, permette di utilizzare materiali equivalenti adeguatamente testati) e la certificazione. In Puglia poi mancano enti in grado di vagliare e validare i materiali: il Politecnico di Bari finora ha affiancato le aziende e fornito linee guida, ma non ha i macchinari per i test. O meglio: in Puglia ci sono, ma sono soltanto privati. Oltre alla Masmec di Modugno, è accreditata per la certificazione anche la leccese Ecopoint srl.

Già nei giorni scorsi, la consigliera regionale M5s (e candidata governatore) Antonella Laricchia aveva lanciato l’allarme: «Emiliano, non cercare una colpa, trova un rimedio. Il M5S te lo ha indicato, così come lo hanno fatto gli imprenditori della Puglia. Siamo stanchi del piagnisteo quotidianosulle forniture di dispositividi protezione individuale, che non potranno certo scendere dal cielo. Gi Gli abbiamo detto cosa fare: acquistare imacchinari per la certificazione dei requisiti delle mascherine e degli altri dispositivi di protezione individuale, per aiutare le aziende pugliesi che vogliono produrle; nel frattempo, pagare i costosi test che le aziende sono obbligate a fare altrove», e Laricchia cita pure il buon esempio dell’Emilia Romagna.

Dal canto suo, l’assessore allo Sviluppo economico Cosimo Borraccino prova a rassicurare: «Siamo in contatto con molte imprese. Il problema principale è legato alla certificazione che è in capo all’Istituto superiore di sanità e ha tempi lunghi perché le richieste sono tante.

Noi abbiamo messo in campo un gruppo di lavoro chiedendo aiuto al Politecnico di Bari, disposti anche amettere a disposizione delle imprese risorse per cofinanziamento. Insomma, il coordinamento c’è e l’attenzione è massima. E per la certificazione ora troveremo una soluzione». Il decreto “Cura Italia” distingue: articolo 15 per le mascherine del personale sanitario (chirurgiche, Ffp2 e Ffp3), e i criteri sono rigidi; articolo 16 per i dispositivi a uso e consumo di tutti (chirurgiche o simili), e in questo non ci sono particolari paletti. Ecco: queste mascherine, altrettanto anelate, potrebbero essere prodotte in larga scala e senza certificazioni dalle aziende pugliesi. Ci vogliono però i committenti, e perciò una regia, per evitare che la produzione finisca fuori regione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA