Autonomia, il sì del Senato: nuovi poteri alle Regioni. Nord e Sud più lontani

Autonomia, il sì del Senato: nuovi poteri alle Regioni. Nord e Sud più lontani
di Paola ANCORA
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Mercoledì 24 Gennaio 2024, 05:00

L’Autonomia differenziata è stata approvata ieri dal Senato con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 30 astenuti. Il Ddl Calderoli – che mutuando il titolo di un libro dell’economista Gianfranco Viesti, più d’uno ha ribattezzato la “secessione dei ricchi” - potrebbe dunque diventare legge dello Stato entro il mese di marzo, incassando il via libera della Camera già a fine febbraio: i numeri della maggioranza di centrodestra sono solidi al punto da non lasciare infatti margini di dubbio su possibili inciampi nell’iter parlamentare. La legge sull’autonomia trasforma profondamente l’architettura dello Stato dando attuazione all'articolo 116 della Costituzione così come fu modificato nel 2001. Una modifica, a detta dello stesso centrosinistra che la varò negli anni ruggenti della Lega di Bossi, sbagliata e monca. Nel 2016, con il Governo Renzi, si cercò di correggere il Titolo V, ma inutilmente visto lo stop deciso poi dai cittadini con il referendum. 

Il dato politico

Il dato politico, oggi, è che la Lega porta a casa e consegna ai suoi elettori, a pochi mesi dalle Europee e dalle Amministrative, uno dei risultati più attesi degli ultimi trent’anni: le Regioni potranno chiedere allo Stato il trasferimento di competenze e funzioni relative a 23 materie previste dall’articolo 116 e fra le quali si contano trasporti, sanità, scuola, energia, infrastrutture, ambiente.

La soddisfazione del vicepremier Matteo Salvini e dei ministri Roberto Calderoli, responsabile delle Autonomie e considerato il “padre” del provvedimento, e di quello dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani – gli unici seduti ieri ai banchi del Governo a Palazzo Madama – era visibile: «Un gran risultato», hanno detto a votazioni chiuse, mentre le opposizioni sventolavano il Tricolore e intonavano l'Inno di Mameli. Il timore, infatti, è proprio questo: che il Paese si spacchi in due, che i divari e le diseguaglianze si accentuino, il solidaristico sistema fiscale e di welfare italiano finiscano polverizzati e il Sud sprofondi. Su cosa si fonda un simile timore? Basta mettere in fila alcuni dati, evidenziati nel corso degli ultimi mesi dall’Ufficio di Bilancio del Senato, da Bankitalia, dalla Svimez e da numerosi costituzionalisti, alcuni dei quali hanno persino scelto di abbandonare i lavori del Comitato per l’individuazione dei Lep ritenendolo velleitario nelle ambizioni e bocciando l’intera operazione Clep come uno specchietto per le allodole. Giuliano Amato, Franco Bassanini, Franco Gallo, Alessandro Pajno, Luciano Violante e Anna Finocchiaro hanno evidenziato infatti, in un lungo documento inviato al presidente del Clep, Sabino Cassese, come mancasse qualsiasi riferimento alle risorse necessarie per finanziare i Livelli essenziali delle prestazioni e una garanzia reale al mantenimento dell’unità del Paese grazie a meccanismi perequativi e di solidarietà fra Regioni più o meno ricche ed efficienti. 

L'emendamento

Un punto, questo, sul quale si è innestato ieri un emendamento presentato da Fratelli d'Italia, approvato dal Senato al rush finale e che prevede che anche alle Regioni che non chiederanno il trasferimento delle competenze vengano passate risorse pari a quelle delle Regioni che invece chiederanno l’autonomia. Ciò deve però avvenire «coerentemente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio». Una clausola di “invarianza di spesa” che renderebbe, nei fatti, inattuabile anche la previsione sui Lep: assicurare le stesse risorse a tutte le Regioni e ridurre i divari tra i territori costerebbe svariati miliardi di euro che, oggi, nelle casse pubbliche non ci sono né si comprende come potrebbero essere individuati in un Paese con un elevatissimo tasso di evasione fiscale e che si misura, al pari del resto d’Europa, con un rallentamento strutturale dell’economia legato alla denatalità. Proprio l’Europa ha espresso le sue perplessità sul Ddl Calderoli: «La legge richiede che questa riforma sia neutrale dal punto di vista del bilancio pubblico - ha evidenziato la Commissione Ue -. Tuttavia, senza risorse aggiuntive, potrebbe risultare difficile fornire gli stessi livelli essenziali di servizi in regioni storicamente a bassa spesa, anche per la mancanza di un meccanismo perequativo. Nel complesso, la riforma prevista dalla nuova legge quadro rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica». Il Governo assicura che non sarà così, ma nel Ddl e nella relazione che lo accompagna non è mai spiegato perché.

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