Sanità, appello degli scienziati al Governo: «Più risorse per i Lea e no all’autonomia»

Sanità, appello degli scienziati al Governo: «Più risorse per i Lea e no all’autonomia»
di Paola ANCORA
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Giovedì 4 Aprile 2024, 05:00

Un’aspettativa di vita cresciuta di oltre dieci anni: il “dono” che il Servizio sanitario nazionale ha fatto agli italiani dal momento della sua creazione, nel 1978, è questo. Oggi, però, quel sistema è in crisi perché sottofinanziato, rispetto all’evoluzione tecnologica, ai dati epidemiologici e all’invecchiamento progressivo della popolazione, finora troppo blandamente combattuto, secondo demografi ed economisti. Dunque «la spesa sanitaria in Italia non è in grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza e l'autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d'Italia in termini di diritto alla salute»: è quanto hanno scritto, in un documento inviato al Governo, quattordici scienziati e medici italiani, chiedendo di aumentare i fondi destinati alla sanità, anche in vista del varo dei nuovi Livelli essenziali di Assistenza, rinviato al 2025.

La lettera

«È necessario un piano straordinario di finanziamento del Ssn - hanno scritto - e specifiche risorse devono essere destinate a rimuovere gli squilibri territoriali. L’allocazione di risorse deve essere accompagnata da efficienza nel loro utilizzo e appropriatezza nell'uso a livello diagnostico e terapeutico, in quanto fondamentali per la sostenibilità del sistema. (...) Molto, quindi - hanno concluso - si può e si deve fare sul piano organizzativo, ma la vera emergenza è adeguare il finanziamento del Ssn agli standard dei Paesi europei avanzati (8% del Pil), ed è urgente e indispensabile, perché un Ssn che funziona non solo tutela la salute, ma contribuisce anche alla coesione sociale». In calce, le firme di Ottavio Davini, Enrico Alleva, Luca De Fiore, Paola Di Giulio, Nerina Dirindin, Silvio Garattini, Franco Locatelli, Francesco Longo, Lucio Luzzatto, Alberto Mantovani, Giorgio Parisi, Carlo Patrono, Francesco Perrone e Paolo Vineis.

La questione Lea, con il rinvio dell’entrata in vigore dei nuovi Livelli essenziali delle prestazioni al 2025, ha riportato a galla plasticamente il sottofinanziamento del Servizio sanitario nazionale, le sue fragilità e le differenze territoriali che l’autonomia differenziata promette di esacerbare, anziché ripianare. Differenze, ancora, che secondo la Ragioneria generale dello Stato rischiano di acuirsi anche in virtù del rinvio dei Lea: «Le differenze nell’erogazione di prestazioni tra le Regioni - ha scritto - con l’ulteriore posticipo proposto, consoliderebbero le disparità assistenziali che attualmente si registrano nei territori regionali». Osservazioni sulle quali la Conferenza Stato-Regioni del 29 marzo scorso è comunque andata oltre, scegliendo di procrastinare di altri otto mesi l’operatività delle tariffe.

La Ragioneria aveva proposto di rendere subito operativi i nuovi tariffari e correggere la rotta in corsa, anche perché fino al 31 dicembre scorso, malgrado le proroghe ripetute dei Lea 2012, le Regioni hanno incassato più di 3,4 miliardi di euro a titolo di aggiornamento delle tariffe nonostante tale aggiornamento - previsto da una norma del 2017 - non sia mai avvenuto perché non sono mai stati approvati i decreti attuativi di quel provvedimento di sette anni fa.

Quei miliardi - che avrebbero dovuto essere destinati alle cure dei cittadini - sono stati quindi utilizzati dalle Regioni per coprire «inefficienze e squilibri dei loro servizi sanitari» sottolinea la Ragioneria dello Stato. Non solo. Una bacchettata è arrivata anche ai privati, fortemente contrari ai nuovi Lea. «Si ricorda che le tariffe oggi in vigore sono state adottate nel 2012, basate quindi su valutazioni ormai datate. Non si comprendono pertanto le problematiche legate ad un aggiornamento tariffario basato su dati del 2022, dopo un ampio confronto sia con le Regioni, che hanno peraltro espresso intesa sul provvedimento, sia con le associazioni di categoria interessate».

Ed è forse proprio il pressing dei privati ad aver spinto la politica al rinvio dei Lea e, poi, a un rimpallo di responsabilità fra partiti e fra Governo e Regioni. «Il 25 marzo scorso le Regioni hanno votato all’unanimità il rinvio dell’entrata in vigore dei nuovi Livelli essenziali di assistenza» ha detto il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, rispondendo al Question time della Camera. «Apprendiamo con rammarico che anche l'assessore Palese ha dato parere favorevole al rinvio dei nuovi Lea al 2025, nella riunione della Stato-Regioni dello scorso marzo. Una cosa gravissima - scrivono i consiglieri regionali di Azione, Fabiano Amati, Sergio Clemente, Ruggiero Mennea e il responsabile della Sanità Alessandro Nestola - perché quell'atto ha concorso a impedire ai pugliesi di poter usufruire di 406 nuove prestazioni sanitarie, in ambito oncologico, genetico, delle malattie rare, della Pma, dei disturbi alimentari». Il giallo si è infittito alla replica di Palese, che ha dichiarato di «non aver mai espresso nessun assenso al rinvio dell'entrata in vigore dei nuovi Lea in nessun contesto, né regionale, né nazionale», annunciando peraltro «che è all’esame della Giunta regionale e del presidente Emiliano un provvedimento legislativo autonomo della Regione per ricevere il nuovo prontuario e consentire così ai cittadini pugliesi di poter usufruire delle nuove prestazioni sanitarie previste dai nuovi Lea».

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