In carcere, poi ai domiciliari per mafia. Ma per errore. La Corte di Cassazione ha riconosciuto, di fatto, l’ingiusta detenzione di un uomo di Copertino, M.C, 50 anni, finito agli arresti nel 2019 ma subito scagionato.
Si parla del blitz antimafia che si era concentrato sul territorio di Carmiano e che risale a quattro anni fa. L’uomo aveva lasciato il carcere subito dopo l’interrogatorio di garanzia. È un ex dipendente di una ditta di rifiuti.
Le accuse
Era stato ritenuto partecipe di un sodalizio criminale con l’accusa di aver apportato introiti economici attraverso attività illecite e di aver agevolato il clan attraverso attività illegali e il pagamento di tasse e mutui per conto degli associati. Ciò era contenuto in un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip e annullata poi dal Tribunale del Riesame di Lecce per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. La difesa aveva fatto domanda di riparazione per ingiusta detenzione, in riferimento al periodo di custodia cautelare in carcere (dal 17 settembre 2019 al 20 settembre 2019) e domiciliari, poi, fino all’8 ottobre dello stesso anno. La Corte d’Appello di Lecce, aveva rigettato essendo ravvisabile, a parere del collegio, una «condotta gravemente colposa in capo al ricorrente».
In particolare nell’ordinanza che disponeva gli arresti, confermata sul punto dal Riesame, era narrata l’operatività nel territorio di Carmiano e in altri paesi della provincia di Lecce, di una compagine mafiosa.
Le motivazioni della Cassazione
«L’odierno ricorrente - scrivono i giudici della Suprema corte - è stato sottoposto alla misura cautelare di massimo rigore per il reato previsto dall’articolo 416 bis. Misura poi sostituita con quella degli arresti domiciliari all’esito dell’interrogatorio. Il Tribunale del Riesame di Lecce ha annullato il provvedimento, ritenendo insussistente il presupposto costituito dai gravi indizi di colpevolezza. Il procedimento per lui è stato poi archiviato».
Non c’è nessun comportamento censurabile da attribuire al 50enne finito in carcere. Piuttosto c’è un «errore del giudice procedente, che ha colto indizi di reità in comportamenti privi di quella pur provvisoria portata dimostrativa richiesta per l’adozione della cautela».
L’ordinanza con cui la Corte d’Appello aveva negato l’indennizzo per l’ingiusta riparazione, è stata annullata con rinvio ad altra sezione che ora dovrà esprimersi tenendo conto di quanto esposto dagli Ermellini.