Le testimonianze dei lavoratori del Nardò Technical Center dopo l'incidente mortale: «Mattia era stanco, come tutti noi»

Le testimonianze dei lavoratori del Nardò Technical Center dopo l'incidente mortale: «Mattia era stanco, come tutti noi»
Le testimonianze dei lavoratori del Nardò Technical Center dopo l'incidente mortale: «Mattia era stanco, come tutti noi»
di Pierpaolo SPADA
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Giovedì 22 Febbraio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 08:40

Al Nardò Technical Center, quella di ieri non è stata una giornata come tutte le altre. Perché non era mai accaduto che un driver perdesse la vita al suo interno mentre lavorava. Non almeno negli ultimi trent’anni. Intorno alle 9.30, ieri mattina è stato così spezzato un record che finora aveva onorato l’impianto neretino più di ogni altro connesso a performance e velocità. Le ragioni, la dinamica dell’incidente: gli inquirenti diranno quale sia stata. Per quasi tutta la mattinata, nessuno ha saputo definirla. Sotto il sole e un vento freddo, un via vai di mezzi costante. Clienti, fornitori, autotrasportatori. Sul posto sono giunti anche i rappresentanti di Cgil (Fiom e Nidil) e Cisl (Fim Cisl). Un elicottero ha sorvolato il circuito. Decine di prototipi Porsche neri entravano e uscivano dall’impianto sotto lo sguardo della security allarmata dall’arrivo dei primi obiettivi, prima d’essere confortat da quello dei carabinieri e della polizia, che ha scortato il pm Alessandro Prontera. Alla spicciolata, quand’era mezzogiorno, i collaudatori hanno cominciato a spuntare fuori dai tornelli e a dirigersi verso il parcheggio. 

Le testimonianze di chi lavora

Sguardi tirati, volti grigi: «Che sta succedendo all’interno? Chi era Mattia Ottaviano? Com’è avvenuto l’incidente?». Molti suoi colleghi hanno chiesto legittima privacy. Altri hanno alzato le mani avanti, quasi in segno di resa. Ma nei confronti di chi, di cosa? «Non ne sappiamo nulla, stavamo dall’altra parte», ha detto il primo. «Io non sto sulle piste», ha riferito impaurita una donna. Sulle tute i nomi di Ntc e delle tre ditte (Kw Energy, Bertrandt ed Euro Servizi) che, per la controllata di Porsche, operano in appalto: «Siamo distrutti. Lasciatemi passare», si è fatto largo un collaudatore, davanti a quello più anziano. «Stanno ancora tutti lì, sulla pista. C’è pure il magistrato. Che tragedia, non fatemi parlare», ha detto. Lo seguiva un altro esperto collega. Era già in macchina quando, all’invito, si è fermato e ha abbassato il finestrino: «Abbiamo perso un amico e un bravo lavoratore. Che altro volete che vi dica?!». Dava la sensazione di volersi sfogare. E, chiedendo anonimato, non ha esitato un secondo prima di farlo: «Mattia era un bravissimo ragazzo. Stava con noi da un anno, si era ambientato subito. Era felicissimo di esser stato assunto per poter fare il nostro lavoro, perché motori, auto e moto erano la sua passione. Ma anche lui - ha confidato - era stanco, come tutti noi». Riferimento non causale: «Io sono motociclista, chi più di me può dirlo», ha premesso. 
«Fino a qualche tempo fa, il cumulo chilometrico della moto veniva fatto in due.

Quindi, tu avevi modo di riposarti e stressarti meno. Poi, siccome abbiamo i contratti che abbiamo, qualcuno ha deciso che lo stesso cumulo chilometrico sarebbe stato prodotto dal singolo driver. E così ci si stanca di più e diventa più facile pure distrarsi». Parole espresse a poche ore dall’accaduto da chi con Ottaviano correva e parlava. Parole, dunque, intrise di amarezza e rabbia ma anche di consapevolezza. Parole che toccano quello che, poi, si rivelerà per tutto l’arco della giornata un punto fisso nelle esternazioni dei lavoratori: «L’abbiamo sempre detto che auto e moto sulla stessa pista non devono starci. La preoccupazione l’abbiamo sempre avuta», ha riferito lo stesso driver, serrando le labbra e irrigidendo il tono. Come successivamente un suo collega ha fatto, accentuando la criticità contrattuale: «Noi lo sappiamo che facciamo un lavoro pericoloso ma se ci aggiungi che siamo precari da anni, decenni, puoi capire bene con quale stato d’animo ogni giorno ci alziamo per lavorare». Battaglia non nuova. Per trent’anni, assai prima dell’acquisizione da parte di Porsche, i collaudatori in capo alle cooperative al servizio di Ntc hanno combattuto con risultati meno apprezzabili di quelli che auspicavano. Intanto, col passare dei minuti, nei pressi dell’ingresso presidiato da security e polizia si è assiepato un bel gruppo di lavoratori. Ma, col tempo, è venuta meno anche la disponibilità di chi, terminato il turno, voleva parlarne. I test sono stati interrotti. Si è vociferato anche sul fatto che i responsabili di reparto potessero aver chiesto la sospensione del turno. E, intorno alle 13, l’arrivo a grandi falcate di tre persone ha fatto pensare ai familiari della vittima, senza però che la circostanza fosse confermata. Intense, si sono udite urla lanciate contro i responsabili della sicurezza all’ingresso: «Lo abbiamo appreso dal giornale, non è possibile, fateci entrare», ha detto un uomo, immediatamente accolto. Poi, a urlare sono stati, fra loro, alcuni sindacalisti e rappresentanti dei lavoratori. Una Rsu di Fim Cisl in quota a Ntc ha definito «strumentalizzazione» la presenza «a poche ore dalla tragedia» delle bandiere di Cgil e Fiom fuori dall’impianto e l’intenzione delle stesse sigle - subito emersa - di organizzare un sit in o un breve sciopero l’indomani. E, dal canto loro, i rappresentanti di Cgil (presente anche la confederazione) hanno spiegato alla Rsu in causa di aver appreso la notizia dell’incidente di Nardò poche ore prima mentre erano al tavolo del prefetto di Lecce Luca Rotondi per chiedere maggiore impegno proprio sul fronte della sicurezza sul lavoro dopo i fatti di Firenze: «E la Cisl dov’era?», ha chiesto a voce alta la segretaria Valentina Fragassi. Il buon senso ha prevalso. E il silenzio ripiombato in un istante fino alle 14.30 quando dal cancello secondario - distante 300 metri circa dall’ingresso principale e presidiato dalla security - è uscita l’autofunebre, con Mattia Ottaviano.

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