«Due ragazzi d'oro. In campo eccezionali, cattivi, grintosi. E fuori dal campo proprio bravi, bravi, bravi. Buoni, generosi. Michele poi, quando andavamo in trasferta e vedeva qualcuno in mezzo alla strada che chiedeva l'elemosina, gli portava la birra, gli regalava un panino. Io e Ciro invece eravamo proprio legati, con le famiglie facevamo vacanze insieme. Sono arrivato a Lecce, che ero giovanissimo, quindi sono stato sempre sotto l'ala protettiva di Michele, che ha dato qualcosa a tutti, soprattutto ha insegnato a tanti ragazzi leccesi, come Maragliulo, Luperto, Pasquale Bruno, che cos'è la grinta». Così Ruggero Cannito, ex centrocampista del Lecce, ricorda Michele Lorusso e Ciro Pezzella. «Michele era legatissimo al Lecce Cannito racconta -. Ricordo che quando Ciro partiva, una volta per la Sampdoria e un'altra all'Avellino, Michele diceva: "Ma dove vai?" e io rispondevo: "Ma tanto se ne va e dopo uno, due anni ritorna". E così fu. E ridevamo di questo. Anche lui era molto legato a Lecce». Già: Pezzella aveva sposato una leccese. Vite di un calcio ancora umano.
Il ricordo dell'ex capitano
Il ricordo di Carmelo Miceli, ex capitano dei salentini, altro compagno di squadra: «Michele dava l'anima in campo, era uno carismatico, che ti trasmetteva quella voglia di dare il massimo.
Due guerrieri della difesa
Due guerrieri della difesa. «Erano in simbiosi, si compensavano, a volte l'uno calmava l'altro e viceversa» rievoca, Ricardo Paciocco, bomber di quella squadra dei primi anni '80. «Ero appena arrivato a Lecce, venivo dal Milan, dormivo in camera con Lorusso, ricordo che fosse una persona di carisma. Aveva capito già il mio carattere focoso, mi aveva conosciuto perché avevo già bisticciato, al primo giorno di allenamento, con Di Chiara (Stefano, ndr), perché durante una partitella mi fece un'entrata e io feci capire che non la facevo passare. E Michele mi disse: "Se continui così, non avrai problemi a Lecce, perché qui vogliono solo giocatori con il cuore". E io ho fatto quello che mi aveva consigliato: onorare la maglia». E su Ciro: «Una volta mi chiese: "Ma come fai ad avere 'ste gambe?". Lui era geloso delle mie gambe, perché voleva essere più robusto e cattivo. Ma lui era veramente tutto un nervo, e una simpatia.
Ricordo le sue battute, impiegavo tempo a capirle perché le diceva in dialetto». E ancora: «Lui portava i giornali al penitenziario, una volta lo accompagnai, era una persona di cuore. Un'altra volta portammo una divisa da gioco perché dovevano fare un torneo là dentro e da lì capii che era una persona fantastica». La tragedia è nota: incidente stradale nei pressi di Mola di Bari. Miceli attendeva d'essere raggiunto dai due amici sul treno: «Il cuccettista era un amico nostro e cercava di tranquillizzarmi, ma io ero preoccupatissimo. E tutta la notte, nel treno, sentivo un fischio nell'orecchio, non riuscivo a dormire e avevo immaginato che fosse successo qualcosa». Un dolore mai affievolito. «A fine anno decisi di andar via, perché parlare sempre della morte non mi andava proprio: il ricordo per me è sempre vivo, è come se fossero vivi» racconta, Cannito . Il quale ringrazia il Lecce calcio per aver celebrato Ciro e Michele su una maglia. Bandiere ancora vive,, disgrazia che valicò i confini. «Ricordo fra tutti i telegrammi di condoglianze che arrivarono allora, addirittura quello del Real Madrid».
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