Riprende l'emorragia di residenti dal capoluogo. Gli ultimi dati Istat, quelli relativi al 2022, elaborati dal Comune di Lecce, segnano un dato negativo tra immigrazione ed emigrazione a Lecce, con un saldo di 148 persone in meno tra chi è arrivato e chi è andato via, fermando l'asticella a 95.893 abitanti: gli emigrati infatti sono stati, a fine anno 2.738 mentre gli immigrati solo 2.590. In un anno Lecce ha perso 675 residenti.
Il trend
In 90 anni (l'analisi del Comune parte dal 1931) è il peggior risultato di sempre. Nel 2012 i leccesi in fuga furono 3.338 e nel 2013 furono invece 2.900. La punta massima di abitanti la città l'ha raggiunta nel 1990 con 102.344 residenti. E solo per dieci anni (dal 1986 al 1995) il capoluogo è riuscito a restare sopra i 100mila abitanti. In 22 anni sono andate via 6.451 persone: come se si fosse staccato un piccolo paese.
I residenti
Un fenomeno da tenere sotto controllo ma che comunque non metterebbe in crisi, almeno per il momento, la crescita costante che la città di Lecce ha avuto proprio dal 2001, quando fu toccato il punto più basso della cifra di residenti attivi (83.137) dopo anni di galleggiamento intorno alla cifra target di 100mila, con uno scarto, rispetto al 2000 di ben 14.321 cittadini, 97.458 contro 83.923.
L'anno di svolta
È il 1995 a rappresentare il punto di stop di una crescita che a partire dal secolo scorso, con la prima rilevazione nel 1931, è sempre stata costante, passando dai 44.907 residenti di cui 764 emigranti e 908 immigrati (saldo +144) a più del doppio del 1990 con 1873 immigrati e 2.052 emigrati (saldo +179). Interessanti anche i dati derivanti dai diversi quozienti: quello relativo all'emigrazione (cioè il saldo di gente andata via da Lecce fratto la popolazione complessiva e moltiplicato per mille) mostra come il valore del 2020 con 16,9 di emigrazione sia il più basso dal 1986, mentre quello più alto dal 1962 si è registrato nel 2012 con il 37,1.
Per il quoziente di immigrazione invece, il 2021 è stato l'anno capitale: ben il 44,9, un valore dietro solo al 2013 (72,9) e al 2003 (99,1). Quello più basso, sempre relativo all'immigrazione invece è appannaggio sempre del 2020 come per l'emigrazione, in cui il quoziente si fermò al 18,3. Entrando nel dettaglio e considerando l'apporto dei residenti stranieri dal 1995, si comprende come il flusso migratorio sia diventato sempre più consistente e vitale nel corso degli anni, passando dai 4.049 del 2011 agli 8.964 dello scorso dicembre, divisi tra 4.573 maschi e 4.391 femmine. In crescita di conseguenza anche l'incidenza sulla popolazione residente: nel 2021 infatti aveva sfondato il 9% arrivando al 9,3% del 2022. Nel 1995 invece quando la popolazione era appena sopra i 100mila abitanti, il numero di stranieri era di appena 1.315 di cui 698 maschi e 617 femmine con una percentuale dell'1,03%.
«Questi dati fotografano la dinamica migratoria che ha interessato la città di Lecce nel corso dei decenni - soottolinea Antonio Ciniero, docente di Sociologia delle Migrazioni e di Sociologia della Globalizzazione e dei Processi Migratori all'Università del Salento-. Abbiamo avuto, come è noto, forti quozienti di emigrazioni dagli anni 60 fino alla fine degli anni 70 con i flussi diretti verso il nord Italia e in Europa, in particolare verso Belgio, Svizzera e Germania. Il forte saldo negativo con più emigrati che immigrati dura fino agli anni 80 quando si inverte. In Puglia iniziano ad avere consistenza numerica negli anni 80, le percentuali di stranieri come tunisini, marocchini, algerini e arrivi dal sud est asiatico. Il boom ingressi arriva dal 1991 con la fuga degli albanesi e l'approdo sulle nostre coste. Nel corso del tempo diminuiscono le emigrazioni degli italiani, e anche in Puglia».
Dagli anni 90, a fare la differenza sono le leggi che prevedono le sanatorie con il conseguente aumento della presenza di stranieri. «L'ultimo incremento significativo - continua Ciniero - avviene, nel 2002, con la grande sanatoria per le badanti e compaiono nelle statistiche le cittadine ucraine e rumene che prima erano invisibili. Dal 2007 quando aderisce anche Romania aderisce all'Unione europea aumentano i cittadini di quella nazione. Un dato curioso è la diminuzione degli albanesi, nella seconda fase degli anni 2000, non perché vanno via, ma perché molti acquisiscono la cittadinanza. Il tasso migratorio tende a stabilizzarsi e diminuisce dopo il 2011 perché a seguito della guerra in Libia, di fatto non vengono emanati decreti flussi e si passa dai 160mila all'anno, a malapena 40mila. Diminuiscono gli ingressi per lavoro. Il numero dei cittadini stranieri presenti in Puglia tende a stabilizzarsi. A Lecce, al 2021, siamo sulle 26mila persone. In tutta la Puglia invece 139mila».
Naturalmente i numeri sono tutti da leggere. «Al di là dell'andamento della popolazione residente, che è stabile - dice il professore Gigi Spedicato, che insegna Sociologia dei processi culturali a UniSalento -, quello che sta cambiando è il paesaggio sociale e demografico della città: meno giovani, più anziani, e la limitata incidenza dell'immigrazione extracomunitaria non riesce a compensare il calo delle nascite. Lecce è un frammento d'Italia, ne rispecchia la corsa finora inarrestata verso il calo demografico e l'invecchiamento della popolazione: negli scenari Istat sulla popolazione italiana, che prevedono che cosa accadrà entro il 2070 - conclude -, la stima è che in Italia ci saranno 47,2 milioni di abitanti, circa 12 milioni in meno rispetto a quelli che ci sono oggi. Difficile, se non impossibile, immaginare che Lecce riuscirà a restare fuori da questo trend discendente».
© RIPRODUZIONE RISERVATA