Copertino, tremori alle gambe «ma fu curata con il Valium»: medici rischiano il processo

Solo un’iniezione di Valium, quando in realtà, secondo l’accusa, i tremori sarebbero stati da ricondurre a una gravissima malattia

Tremori alle gambe, poi la morte: due medici rischiano il processo
Tremori alle gambe, poi la morte: due medici rischiano il processo
di Roberta GRASSI
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Martedì 18 Aprile 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 19 Aprile, 13:32

Solo un’iniezione di Valium, quando in realtà, secondo l’accusa, i tremori sarebbero stati da ricondurre a una gravissima malattia. Una malattia che nel novembre del 2020 causò la morte di una 30enne, Elisabetta Magno, volata via in appena 24 ore, dopo l’accesso in ospedale, a Copertino. La procura di Lecce ha chiesto il rinvio a giudizio di due medici che affronteranno ora l’udienza preliminare. Sono difesi dagli avvocati Paolo Spalluto, Salvatore Rollo, Giuseppe Bonsegna e Vincenzo Savino Vantaggiato. I famigliari della 30enne, che all’epoca dei fatti depositarono un esposto, sono assistiti dagli avvocati Massimo e Martina Manfreda e Donata Perrone. 

Le accuse

I due imputati per cui il pm Alberto Santacatterina ha chiesto il rinvio a giudizio rispondono di omicidio colposo in cooperazione. Stando alle ricostruzioni la donna arrivò al pronto soccorso di Copertino lamentando dolori, senso di bruciore, stato di agitazione. Erano le 12.54 del 13 novembre. Nel pomeriggio, sempre stando a quanto riferito, sarebbe uscita di scatto dal nosocomio accasciandosi a terra, per poi essere trasportata all’interno in barella. Alle 22, l’arresto cardiocircolatorio, e poi dopo diverse ore di coma, il decesso. Secondo le ipotesi d’accusa i medici avrebbero «omesso qualsiasi accertamento diagnostico, limitandosi alla somministrazione di Valium (farmaco a base di benzodiazepine, quindi un ansiolitico, ndr) per via endovenosa, senza che per altro ne venissero esplicitati i motivi né gli eventuali effetti del trattamento». Nessuna iniziativa, afferma la Procura, sarebbe stata assunta «a fronte di un quadro clinico progressivamente aggravatosi, riconducibile a una sindrome serotoninergica». Quest’ultima, altrimenti detta “serotonin syndrome”, la causa della morte della donna. 
La vicenda, va ricordato, avvenne nel pieno della pandemia da Covid, quando gli accessi in ospedale erano limitati e la situazione non era certo tranquilla nelle strutture sanitarie.

Le parti civili potrebbero oggi procedere con la citazione del responsabile civile. 

Le difese

Mentre le difese sostengono l’assoluta estraneità ai fatti contestati dei medici imputati (per altri due c’è stato stralcio e richiesta di archiviazione). Nessuna negligenza, imprudenza o imperizia, ritengono gli avvocati. Certi che non vi fosse stata alcuna sottovalutazione dei sintomi. Il gup Alessandra Sermarini deciderà se procedere con il rinvio a giudizio dei dottori, dovendo valutare se vi sia una ragionevole previsione di condanna tale da sostenere la necessità di un approfondimento dibattimentale. 
Le parti civili insistono, convinte invece che il tragico epilogo si sarebbe potuto evitare, e che la cura somministrata nell’immediatezza dei fatti non sia stata quella corretta. Si chiedono, e hanno chiesto agli inquirenti di appurarlo, se un approfondimento diagnostico differente da quello che è stato effettuato al Pronto soccorso dell’ospedale San Giuseppe di Copertino avrebbe potuto salvare la vita alla 30enne, moglie e madre di due figli ancora piccoli. 

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