Case e voti, ammesse le telefonate tra gli ex assessori e Marti

Roberto Marti
Roberto Marti
di Erasmo MARINAZZO
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Giovedì 25 Aprile 2019, 09:36
E' arrivato il sì del Tribunale ad utilizzare nel processo le 1.380 intercettazioni dell'inchiesta sull'assegnazione di case popolari in cambio di voti e di sostegno elettorale. Si è deciso tutto nelle quasi sei ore dell'udienza di ieri nell'aula bunker si sono concluse con l'ordinanza letta dal presidente della seconda sezione penale, Pietro Baffa, e redatta durante un'ora di camera di consiglio con il giudice relatore Silvia Saracino ed il giudice a latere Bianca Maria Todaro.
A partire dalla prossima udienza del 13 maggio, quando il processo Attilio Monosi+32 comincerà ad entrare nel merito, accusa e difesa potranno tenere conto anche delle intercettazioni delle telefonate fra gli ex assessori Luca Pasqualini ed Attilio Monosi con il parlamentare Roberto Marti. Come pure dei dialoghi captati dalle microspie piazzate nelle stanze degli uffici comunali dell'ex assessore Monosi e del funzionario Pasquale Gorgoni. Infine è stato dato l'avallo a fare entrare nel processo anche una decina di intercettazioni provenienti dal processo Eclisse nella parte in cui hanno riguardato gli imputati condannati con l'accusa di avere portato denari nelle casse della Sacra corona unita, versando gli introiti delle affissioni dei manifesti della campagna elettorale del 2012 per indicare sindaco e consiglio comunale di Lecce: tanto perché in quelle intercettazioni compare uno dei principali imputati. Ossia l'ex assessore Pasqualini.
Non è stata accolta invece la richiesta dei pubblici ministeri della Procura di Lecce, Roberta Licci e Massimiliano Carducci, di ammettere i verbali di osservazione, pedinamento e controllo. Tra i quali quelli dei servizi svolti davanti ai comitati elettorali, durante la campagna elettorale delle comunali del 2017.
Si è parlato di queste vicende perché l'udienza di ieri è stata dedicata alla ammissione delle prove. Tra queste anche le telefonate che hanno visto come interlocutore il senatore Roberto Marti, indagato in uno stralcio dell'inchiesta principale: rigettando l'istanza del legale di Pasqualini, l'avvocato Giuseppe Corleto, il tribunale ha ritenuto che non vi fosse a monte la necessità di chiedere l'autorizzazione al Parlamento per intercettare chi era dall'altra capo del telefono. Perché sono state intercettazioni del tutto casuali ed episodiche - ha spiegato il presidente Baffa leggendo l'ordinanza - . Oggetto delle intercettazioni non era Marti, ma gli imputati in questo processo con i quali talvolta colloquiava. Inoltre è stato fatto presente che le conversazioni in cui compare il parlamentare non riguardassero la sua vita privata ma altre persone. Gli odierni imputati.
E le microspie piazzate negli uffici di Monosi e Gorgoni? Potevano intercettare i dialoghi fra l'ex assessore e fra il funzionario con altre persone? La questione sollevata dall'avvocato Stefano De Francesco, difensore di Pasqualini e del dirigente comunale Paolo Rollo, è stata risolta dal Tribunale richiamando una sentenza della Corte di Cassazione riguardante un sindaco: l'ufficio di un primo cittadino non può essere considerata una dimora privata. Inoltre è stato richiamato l'articolo del codice di procedura penale che consente di utilizzare microspie nei luoghi dove si esercita un'attività criminosa: «L'assegnazione di case popolari attribuite ad alcuni soggetti non legittimati invitando a fornire documentazione per una agevole definizione della pratica, come sostiene l'accusa - consumando il reato di falso», ha spiegato ancora il presidente Baffa richiamando uno dei capi di imputazione.
Prossima udienza, come detto il 13 maggio, per iniziare a sentire i primi testimoni. Fra questi l'avvocato Sandra Zappatore, presidente di Arca Sud (ex Iacp). E l'uomo che fu pestato e minacciato di morte perché denunciò il sistema illegale di assegnazione degli appartamenti.
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