Poliziotti come detective privati a caccia di coniugi infedeli: anche una leccese nell'operazione

Polizia al lavoro
Polizia al lavoro
di Federica SABATO
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Lunedì 4 Aprile 2016, 07:01 - Ultimo aggiornamento: 18:45
Per arrotondare lo stipendio, alcuni poliziotti - anche durante le ore di servizio e in un caso usando indagini ufficiali per controllare i telefoni - si trasformavano in investigatori privati sulle tracce di persone colpevoli di infedeltà coniugali. D’altra parte - avranno pensato i clienti - chi meglio di un poliziotto ha le capacità per condurre un’indagine?
C’è anche una donna di Lecce nell’inchiesta che ha coinvolto i “poliziotti infedeli”, finiti nei guai con l’accusa di fare gli investigatori privati per arrotondare lo stipendio.
Si tratta di Pamela Lobuono di 50 anni che risulta tra i dodici indagati nello scandalo che nei giorni scorsi ha coinvolto la polizia foggiana  e per cui sono state emesse quattro ordinanze di custodia cautelare. Dietro le sbarre sono finiti gli assistenti capo Angelo Savino di 45 anni, in servizio al commissariato di Manfredonia e Alfredo De Concilio, di 38 anni, in servizio al reparto mobile di Napoli. Sono ai domiciliari invece, Paolo Ciccorelli, in forza alla sezione di Foggia della polizia postale e la guardia giurata Alfredo Cavallo di 47 anni, tutti di Foggia.

Secondo il giudice per le indagini preliminari della Procura di Foggia, Marco Ferrucci, i quattro sono accusati a vario titolo di corruzione, peculato, falso, intercettazioni abusive e accesso abusivo al database del Ministero degli Interni. Come risulta dalle inchieste in corso, gli arrestati, con l’aiuto degli altri soggetti iscritti nel registro degli indagati, avrebbero percepito dei lauti compensi dopo aver  condotto indagini private per spiare e scoprire infedeltà coniugali, servendosi di tecniche e strumenti investigativi tipici della Polizia di Stato. A tutti gli effetti un’attività parallela a quella ufficiale, che sarebbe potuta diventare un vero e proprio “business” finalizzato a scoprire tradimenti, veri o presunti. Il nome della donna leccese compare  nell’elenco degli indagati presente all’interno dell’ordinanza. 
Secondo quanto accertato dall’inchiesta, gli arrestati si sarebbero occupati, dal 2012 al 2014, di quattro presunti casi di infedeltà coniugale dietro richiesta della persona tradita. In almeno uno dei casi è stato riscontrato un pagamento da parte di chi aveva commissionato l’indagine, di circa 300 euro.
Gli arrestati, secondo quanto emerso, piazzavano le microspie nei luoghi frequentati dai presunti “traditori”, controllavano le loro utenze telefoniche e i loro spostamenti seguendo le “tracce” dei telefoni cellulari. In una di queste occasioni, nel 2012, la Procura avrebbe accertato che il nome e il numero di telefono di una persona da spiare erano stati inseriti abusivamente tra i soggetti da monitorare in un'indagine avviata per altre vicende. Secondo gli inquirenti la guardia giurata finita nei guai  faceva il lavoro “sul campo”, organizzando i pedinamenti e gli appostamenti dei coniugi infedeli.
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