Vivono sdraiati nel loro letto, immobili, con i famigliari sempre accanto. Tra mille difficoltà. Ma le cure mediche di cui hanno bisogno può dargliele solo un infermiere. Una presenza insostituibile, a cui le famiglie dei pazienti gravissimi, assistiti a casa, si affidano completamente. Peccato che ora il Covid gli stia togliendo anche quello.
Gli infermieri che assistono a domicilio i circa 600 pazienti gravissimi del Lazio, con malattie rarissime e degenerative, lavorano con le cooperative e così ora, in questa seconda ondata Covid, molti di loro vengono reclutati per lavorare negli ospedali. Ma in questo modo l’assistenza domiciliare viene meno perché spesso non ci sono sostituti. Oppure, quando ci sono, il paziente viene assistito ogni giorno da una o più persone diverse: ogni volta si ricomincia da capo, oltre all’eventuale rischio di contagio. Per l’assistenza domiciliare servono infatti infermieri delle Asl, che lavorano con contratti stabili. Altrimenti vanno via.
L’Adi, l’associazione che riunisce parte delle famiglie con assistenza domiciliare, ha chiesto un incontro urgente all’assessore alla sanità del Lazio, Alessio D’Amato: «Bisogna trovare una soluzione per reperire personale e stabilizzarlo – denuncia la presidente Serena Troiani - come accade per gli ospedali, del resto la nostra è una “ospedalizzazione” presso il domicilio.