L'intervista/Veneziani: «Il pensiero mediterraeo va coniugato all'agire post industriale. L'identità? Serve a resistere al dominio del contemporaneo»

L'intervista/Veneziani: «Il pensiero mediterraeo va coniugato all'agire post industriale. L'identità? Serve a resistere al dominio del contemporaneo»
di Alessandra LUPO
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Mercoledì 23 Agosto 2023, 05:25 - Ultimo aggiornamento: 07:39

Marcello Veneziani, mercoledì sarà a un talk nell’ambito del festival itinerante de La Notte della Taranta, che quest’anno affronta attraverso varie sensibilità il tema dell’identità (ore 20.30, piazza Catello a Sternatia. In dialogo con il giornalista Rosario Tornesello). Un concetto vivisezionato e messo in discussione da sempre. In che termini possiamo oggi parlare di identità?
«Il tema dell’identità segna un cambio di passo, vorrei dire di danza, in omaggio alla Taranta, rispetto al dominio della contemporaneità. Ci ricorda che non siamo solo figli del nostro tempo ma siamo figli del luogo, cioè della nostra terra, delle nostre radici e della nostra famiglia. Tema forte rispetto alla globalizzazione ma è proprio cambiando direzione che si possono dare frutti e distinguersi. Altrimenti andiamo al rimorchio, e restiamo una periferia ritardata del globale». 
Nell’era della tecnica lei indica il ritorno alla tradizione e ai luoghi per riconnetterci a quel grande pensiero meridionale e mediterraneo. In che chiave è possibile questa riconnessione?
«La tecnica e l’economia espandono i nostri mezzi ma noi abbiamo bisogno di dare senso, scopo e destino alla nostra vita personale e comunitaria. Connettersi a una tradizione significa aprirsi al passato e al futuro, dare continuità alle opere e trasmettere saperi, esperienze e patrimoni. Significa dare radici al presente e al nostro io. E bisogna “localizzare” le idee…».
Un approccio più ludico e contemplativo non è quello che al Sud (non solo italiano) è sempre stato rimproverato come un languore antiproduttivo? Esiste davvero un punto d’incontro tra speculazione e azione? 
«In una società di pensionati attivi, di lavori a distanza, di doppi domicili, non è solo alla parentesi ludica o vacanziera che bisogna puntare, ma alla proposta di un modello, uno stile di vita che può trovare nel Sud uno sbocco assai promettente. Le vecchie logiche della tarda modernità industriale sono ormai superate. Si deve saper ibridare il pensare mediterraneo all’agire postindustriale e postmoderno».
Nel suo ultimo libro, Scontenti (Perché non ci piace il mondo in cui viviamo) parla dell’insoddisfazione come capitale da mettere a frutto Un antidoto alla rassegnazione. Ma anche una chiamata all’impegno…
«In Scontenti sostengo che la scontentezza come odio di sé, della propria identità e del mondo, è un veleno letale. Ma se lo scontento si fa energia, ricerca, progetto può diventare il motore per generare opere fruttuose. In una battuta dico che il mondo regge sulle spalle di chi si accontenta ma poi cammina sulle spalle degli scontenti, quelli che mettono a frutto la loro insoddisfazione».
A proposito di sprone, recentemente ha scritto del potere che mira solo all’autoconservazione sacrificando quindi il progetto politico ma anche culturale. Ha differente da indicare?
«Sono molto disincantato e non mi faccio illusioni ma se i moventi dell’agire politico sono solo di natura egoistica e utilitaristica non si cambia nulla. Occorrono motivazioni più grandi, più lungimiranti, ambizioni storiche e sensibilità comunitarie».
Di recente ha parlato del caso Vannacci rivendicando il concetto di “normalità” nel mondo naturale (ha fatto l’esempio del suo essere mancino). E ha ribaltato il piano additando la sinistra come normalizzante e schiacciata sul politically correct ma non crede che quando ci sono in gioco i diritti questo esercizio dialettico possa infrangersi sulle esigenze di una società mutata?
«Nessuno ha messo in discussione i diritti di ciascuno a vivere la propria vita come si preferisce, purché non sia a danno altrui. Il problema è l’ipocrisia di negare la realtà, di imporre un mondo prefabbricato e falso e punire chiunque non si allinei a questo ossessivo conformismo».
In merito agli extra profitti si è tornati a parlare della dottrina sociale della destra. Crede che questo governo possa davvero avere una chance per riprendere in mano i temi dimenticati della destra al di là delle convenienze e delle contrapposizioni automatiche?
«Temi grandi e necessari ma la politica è impotente a produrre cambiamenti: le logiche di potere tecnofinanziario sono dominanti e le grandi istanze della destra, come della sinistra, sono destinate a fare solo tappezzeria».
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