Lecce, il Tar dà ragione al pentito Scu: «Valutare i pericoli, può cambiare nome»

Uno dei collegamenti in aula di Cerfeda
Uno dei collegamenti in aula di Cerfeda
di Roberta GRASSI
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Giovedì 29 Giugno 2023, 06:40

Ancora un “no” al cambio di generalità. E ancora una volta l’intervento del Tar suggerisce una sorte diversa, a tutela del collaboratore di giustizia
Filippo Cerfeda, nome storico della Scu salentina, arrestato ad Amsterdam nei primi anni duemila e reo confesso di 15 omicidi proprio al principio della sua collaborazione con la giustizia, vuole ormai da tempo cambiare identità. Lo chiede ormai da mesi. E puntualmente la sua istanza, motivata da ragioni di sicurezza, viene respinta. L’ultimo capitolo risale all’altro ieri quando il Tar del Lazio ha ancora una volta intimato al ministero dell’Interno, e in particolare alla Commissione centrale competente per la definizione e l’applicazione delle speciali misure di protezione, di “riesaminare” le doglianze di Cerfeda e dei famigliari, assistiti dall’avvocato Enrico Morcavallo. 

Il secondo verdetto del Tar

È la seconda volta che il Tar del Lazio dà il via libera al cambio di generalità. Stavolta i giudici amministrativi hanno rilevato che l’amministrazione in questione non ha «adeguatamente valutato la sussistenza delle condizioni necessarie, in relazione alla eccezionale e circostanziata situazione di pericolo dedotta dal ricorrente, non specificamente contestata dalla difesa erariale, che pare stridere con le misure ordinarie o ultra-attive disposte dall’amministrazione». 
Secondo il Tar, la Commissione centrale dovrebbe ora acquisire aggiornati e motivati pareri da parte della Dda di Lecce e dalla Direzione nazionale antimafia, anche alla luce «della sopra indicata condizione di pericolo». 
Cerfeda oggi è un uomo libero, vive in località segreta.

Ha un lavoro. Ha moglie e due figli. In passato ha confessato 15 omicidi, alla guida del clan leccese dal pentimento di Dario Toma fino all’arresto in Olanda a marzo del 2003 e passato a collaborare ad agosto di quell’anno consegnando agli inquirenti un fitto e puntuale diario scritto di suo pugno su fatti e persone della sua reggenza della frangia della Scu facente riferimento al boss storico Giovanni De Tommasi. Informazioni molto delicate e ritenute di interesse dall’autorità giudiziaria in relazione al periodo oggetto di narrazione. Il tempo scorre, anche per la criminalità organizzata. E le collaborazioni si esauriscono, quando il distacco è completato e non ci sono più informazioni da riferire. È allora che comincia la “nuova vita”. Una specie di rinascita. Che però per Cerfeda, a quanto emerge dalla battaglia giudiziaria che ne é sorta, non è ancora del tutto compiuta. 

Terminato il periodo di collaborazione

Una volta terminato il periodo di collaborazione, il programma di protezione speciale si ferma. È nelle cose. Il pentito leccese aveva ottenuto, sempre a seguito di un ricorso al Tar, la proroga al regime “eccezionale”. Gli venivano concessi tanto l’erogazione della capitalizzazione per due anni, quanto l’accompagnamento con scorta in occasione degli impegni giudiziari, l’assistenza legale, il mantenimento del domicilio presso la Commissione centrale e la segnalazione all’autorità di pubblica sicurezza per le adeguate misure di tutela.
Un passo in più, ha invocato. Sostenuto da moglie e figli. L’addio al nome di battesimo e al cognome che per altro identifica un gruppo criminale, un bel pezzo di storia della Scu salentina. La Dda di Lecce ha espresso parere favorevole, pur evidenziando le difficoltà a trovare un aggancio normativo a supporto di tale esigenza. 
La Commissione centrale del ministero ha risposto picche, per due volte. Nella seconda circostanza, a marzo, ha confermato il provvedimento precedente, pur prendendo atto di quanto sia stato «eccezionale» il contributo fornito allo Stato, con le informazioni rese. 
Dovranno ora giungere pareri “aggiornati” sulla attuale, asserita, condizione di pericolo. Solo allora, il caso potrà essere nuovamente valutato. 

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