Teatro, nuovo premio Ubu a Perrotta: «La mia quarta volta chiude un ciclo». Premiata anche Licia Lanera

Teatro, nuovo premio Ubu a Perrotta: «La mia quarta volta chiude un ciclo». Premiata anche Licia Lanera
di Claudia PRESICCE
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Martedì 13 Dicembre 2022, 04:35 - Ultimo aggiornamento: 10:27

Questo è un vero poker d’assi, ma non di quelli affidati alla cabala delle carte. C’è dietro l’ardore di una passione divorante per il teatro, ma anche per la gente, le storie. E per la società a cui l’arte attinge e che con l’arte potrebbe evolversi. E poi c’è il sudore, la costanza e il rigore di un navigante che nel mare periglioso dello spettacolo italiano le cose se l’è andate a prendere da solo, una per una, onda per onda, conquistandosi nuovi territori con pazienza tenace, ma soprattutto con semplici geniali capacità d’artista. La notizia è arrivata ieri in serata: è Mario Perrotta, attore leccese classe 1970, il Premio Ubu come Miglior autore italiano teatrale anno 2022. Con questa sono ben quattro volte che all’artista, autore e protagonista di spettacoli che hanno segnato gli ultimi venti anni di teatro italiano, viene riconosciuto per diversi talenti questo premio d’eccellenza. Inoltre, c'è anche una seconda pugliese ad aggiudicarsi un premio: è la barese Licia Lanera che trionfa per la seconda volta come miglior regia con lo spettacolo “Con la carabina”.

«Sono molto contento – spiega Perrotta – se già ricevere l’Ubu una sola volta nella vita per un attore è un grande evento, arrivare a quattro significa veramente entrare in una cerchia ristrettissima: in 50anni di premio è toccato davvero a pochi. Riceverlo ora come autore chiude il cerchio e racconta chi sono oggi come uomo di teatro». Ma cominciamo da lui. È l’autore di piccole “serie” di spettacoli (che “uno solo non basta per completare il racconto di certi argomenti”), come quella dedicata agli emigranti, partiti dal profondo Sud Italia per andare a fare grande l’Europa, “Italiani cìncali”. Con un successo trasversale attraversò i generi, passando dal teatro alla radio come “Emigranti Esprèss” e alla letteratura. Nel 2011 arrivò il primo Premio Ubu speciale per “Trilogia sull’individuo sociale”, ma Perrotta ha poi scandagliato la storia di uno dei più intensi artisti internazionali incompresi in vita, come Antonio Ligabue, con un progetto premiato nel 2013 con il Premio Ubu come Miglior attore protagonista e poi ancora nel 2015 come Miglior progetto artistico e organizzativo. Ma è anche lo stesso autore che ha riscritto per il teatro momenti della Storia, “volando” tra i classici, come Aristofane e Moliere, verso scene da Grande Guerra. Torniamo ad oggi.
Perrotta che cosa la emoziona di più? 
«È come se questa fosse la prima volta, sono felicissimo che sia arrivato finalmente il Premio Ubu all’autore. Dopo Migliore attore dell’anno, Migliore regia e ideatore di progetti artistici complessi, per aver portato 200 artisti sopra il Po per Ligabue, nonostante varie candidature, non mi avevano ancora premiato per l’autorialità. Devo condividere il premio con tutto il cast che ha messo in scena questo testo in maniera eccellente”. 
Parliamo del testo: si intitola “Dei figli”.
«È il terzo capitolo della trilogia che ho dedicato alle tre figure della famiglia, scritto con la consulenza drammaturgica di Massimo Recalcati. Iniziato nel 2019 con ‘In nome del padre’, è proseguito con ‘Della madre’ e infine è arrivato a questo, ‘Dei figli’. Il ‘dei’ si può intendere come ‘intorno ai figli’, cioè complemento di argomento, ma anche con ‘dei’ inteso come ‘divinità’ figli, il vero senso dello spettacolo. Con un cast complesso in scena, siamo in undici, racconto quei figli italiani ostinati, dai 18 ai 50anni, che, pur non avendo più l’età anagrafica giusta, non hanno nessuna intenzione di smettere di sentirsi figli. Spesso accade con la complicità di madri e padri che contribuiscono a custodire quel ruolo filiale, ma il fenomeno è tragicamente italiano. Se il testo è piaciuto probabilmente coglie nel segno».
È un tema sociale sentito in effetti. 
«Sì, assolutamente. L’Italia ha un primato imbarazzante, è il paese d’Europa in cui i figli si laureano più tardi di tutti, senza aver neanche mai lavorato per mantenersi durante gli studi, come invece fanno i loro colleghi europei secondo i dati Istat 2020. Così accedono al mondo del lavoro davvero tardi».
Sono passati 20anni dal suo primo spettacolo “Italiani Cìncali”, era il 2003.
«Sì, come Perrotta autore. Ma con i dieci anni precedenti di gavetta, nel 2023 arrivo a 30anni di teatro. Ho iniziato nel ’93 e ho lavorato con grandi, come Rossella Falk, Glauco Mauri ecc”. Oggi intorno ha una nuova compagnia teatrale. “Dopo 22 anni con il Teatro dell’Argine che avevo fondato, in totale amicizia l’ho lasciato. È allora nata la compagnia Permar, acronimo delle mie iniziali, quando ho voluto prendere il largo provando ad affrontare il mare aperto in solitaria. Appena partiti è arrivato il Covid e tanti progetti sono stati congelati. Siamo oggi ripartiti, con le difficoltà che sta affrontando il mondo del teatro».
Chi sono i suoi compagni di viaggio?
«Una squadra di giovani sotto i 40anni, alcuni hanno iniziato quando ne avevano meno di 30, e per l’80 per cento nei ruoli principali della compagnia ci sono donne: trovo che lavorino tendenzialmente meglio dei loro colleghi maschi. Nello spettacolo per cui sono stato premiato, anche l’attrice Dalila Cozzolino, in scena con me, è stata candidata come Miglior Attrice under 35: non ha vinto, ma è stata molto votata ed è un grande traguardo essere tra le prime 3 attrici italiane. Sono fiero di lavorare con giovani in gamba e di cercare di aprire loro una strada nel mondo del teatro”. 
La situazione del teatro nell’Italia post Covid qual è? 
«Stiamo riscontrando che nelle piazze dove ci sono operatori con voglia di lavorare e promuovere gli spettacoli, i teatri sono tutti esauriti. Sto facendo grandi teatri da 700-1000 posti pieni, dove lasciamo gente fuori a malincuore, e invece in altre città mi ritrovo con teatri mezzi vuoti perché, con la scusa del Covid, alcuni operatori di circuiti, direttori di teatri, assessori agli spettacoli e chi gestisce le stagioni non stanno lavorando bene. Molti si sono annichiliti dicendo che si è persa l’abitudine di andare a teatro, ma non è così, devono andare a riprendersi gli spettatori, non si può fare la stagione come si faceva prima con la mano sinistra…”. E del Teatro in Tv, rientrato in scena in pandemia, che pensa? “Proporlo in aggiunta certo, ovviamente mai pensando che possa sostituire lo spettacolo dal vivo. Andrebbe fatto bene, su Raiuno in prima serata, come si faceva un tempo, per attrarre il pubblico della tv generalista. Lo guarderebbero tanti e si ritroverebbero ad appassionarsi alle storie della vita che il teatro racconta. Giorni fa ho fatto lo spettacolo su Ligabue in un teatro strapieno: c’erano sette mamme che avevano portato a teatro i figli di dieci anni. Quella messinscena è davvero tosta, ma i bambini sono rimasti inchiodati con gli occhi spalancati per tutto lo spettacolo, e volevano rivederlo».
Educare al teatro con spettacoli per le scuole sarebbe formativo. Veniamo alla società che lei ha sempre raccontato: siamo in un momento storico durissimo tra guerra, diritti civili calpestati in Iran ecc. Che cosa può fare il teatro?
«Molto: noi per mesi abbiamo fatto suonare le sirene antiaeree prima dello spettacolo, abbiamo interrotto applausi ricordando quello che accadeva in quel momento altrove nel mondo. A costo di cambiare l’umore degli spettatori, abbiamo cercato di sfruttare l’occasione per accendere luci su realtà pesanti. Continuare a parlare anche nei teatri di guerra o di polizia morale che spara sui manifestanti significa fare una pressione politica operosa. Lo faccio e l’ho sempre fatto, a volte perdendo anche teatri quando alcuni direttori artistici non hanno gradito».
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