Uno spettacolo che riunisce “lingua” e corpo

di Franco UNGARO
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Venerdì 18 Dicembre 2015, 11:31 - Ultimo aggiornamento: 11:30


“Prima di subire la conformazione di una lingua, prima di avere in consegna un’identità incartata in un documento d’anagrafe, siamo nati con un corpo. Prima della voce e della parola, prima dei nostri nomi e cognomi, viene il nostro corpo.

Ciò che accade dopo, e intorno, e oltre, è un’ontologia fuori misura per questo palco. Ciò che, sullo scricchiolio di queste assi, dice senza preamboli o postille io sono, è il peso e il palpito del nostro corpo”. Non so se Mario Perrotta, rivolgendo queste parole agli allievi dell’Accademia Mediterranea dell’Attore qualche settimana fa, stesse commentando in maniera traslata il suo spettacolo Il Milite ignoto.

Da parte mia ricordo che dopo aver visto lo spettacolo l’estate scorsa, ero così scosso dall’uragano di emozioni da farmi mancare qualsiasi commento, qualsiasi pensiero.

In questi giorni invece mi sto chiedendo che rapporto c’è nello spettacolo tra la lingua, le lingue e il corpo. La particolarità e la bellezza di questo spettacolo è nell’aver superato, eliminato, quella distanza fra ciò che è venuto prima, la lingua, e ciò che è venuto dopo, il corpo. Questa sera sentiremo la Storia, un pezzo di storia della prima guerra mondiale, ascolteremo parole e dialetti che sono note, ascolteremo brandelli di frasi che sembrano partiture sonore.

Il qui ed ora del teatro elimina le distanze spazio-temporali, supera quella distonia biologica e il corpo parlante dell’attore diventa macchina sonora e visiva allo stesso tempo. Percepiamo un unico e ininterrotto shock emotivo fra rumori di spari, luccichìo di armi, siamo travolti dal turbinio di mani, braccia, sguardi, bocche che disegnano la tragedia della guerra, quì raccontata da un manipolo di poveri cristi mandati giovanissimi al fronte.

Un attore e uno spettacolo che escono fuori dai clichè e dalle convenzioni cui siamo abituati: come si fa a sostenere che lo spettacolo è un monologo? Si può ancora parlare di teatro di narrazione?
Mario Perrotta sta aprendo varchi nel modo di fare teatro perché porta in scena le storie dei vinti e degli oppressi, perché libera il teatro dalle prigioni della rappresentazione e del consumo, perché indaga negli anfratti della vita che sopravvive al torpore e all’assuefazione televisiva e mediatica.

Merita tutti i premi che oggi gli vengono attribuiti perché continua, approfondisce e nobilita la migliore tradizione attoriale italiana che va dalla Commedia dell’Arte a Dario Fo a Carmelo Bene. Il suo è un successo meritato frutto dell’intelligenza, della passione, dell’energia, del lavoro ostinato e maniacale che continua a fare su ogni dettaglio, su ogni parola, su ogni gesto.

Guardo a lui come a un punto di riferimento per tutti i giovani che nel teatro vivono la sfida più importante della loro vita: riscattarsi dalle miserie e dalle prigioni che li attorniano e cambiare in meglio il mondo che li circonda. Mario Perrotta lo sta facendo e abbiamo il dovere come leccesi e salentini di sostenerlo sempre di più verso nuovi traguardi e sfide.