Manzù e le donne in arrivo al Marta

Manzù e le donne in arrivo al Marta
di Marinilde GIANNANDREA
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 2 Luglio 2014, 22:53 - Ultimo aggiornamento: 14 Luglio, 17:45

TARANTO - Veneri, madri o Madonne, le figure femminili sono tra i soggetti preferiti dagli artisti e non fa eccezione Giacomo Manz (1908-1991) per la prima volta al Marta, il Museo Nazionale Archeologico di Taranto. L'inaugurazione è sabato 5 luglio alle 20, poi la mostra sarà visitabile fino al 30 novembre, tutti i giorni dalle 8.30 alle 19.30 con “Giacomo Manzù e le sue donne”, una selezione del lungo percorso legato alla visione emotiva e diretta del fascino femminile, che l’artista ha declinato nelle sue molteplici sfumature. Lo testimonia l’opera di apertura, “Pittore e modella”, del 1958, ­il dipinto a olio che dichiara l’amore per Inge (sua moglie) in un nudo illuminato da una tavolozza chiara e piena di gioia di vivere, lontana dai toni cupi della produzione degli anni di guerra.

Rientra in uno dei suoi noti “cicli”, come quello più famoso dei “cardinali”, e segnala un legame con il corpo e il mondo femminile che la selezione tarantina propone attraverso venti opere tra sculture, disegni e incisioni, documentate nel catalogo curato da “Il Cigno CG” e allestite in un dialogo meditato con la ricca collezione archeologica del museo. Bergamasco di origine, Manzù si è formato a Milano e la sua prima produzione, legata soprattutto alla tradizione lombarda, appare attenta anche vicina ad una revisione del passato rinascimentale. Prima della guerra va a Parigi per entrare in contatto con le avanguardie ma impara solo a “sopportare la fame”. La sua città d’elezione diventa Roma e dal 1964 si trasferisce nei pressi dell’antica città di Ardea, nella località di Campo del Fico, che oggi in suo onore è stata chiamata Colle Manzù. Qui vive fino alla fine, immerso nella natura, nella luce e nello spazio.

Classico e moderno nello stesso tempo, è stato apprezzato da critici come Argan e Calvesi, lontani dalla sua rigorosa linea figurativa e nel 1948 ha vinto, ex aequo con Henry Moore, il “premio scultura” della Biennale di Venezia. Quasi un decennio dopo, nel 1956, la Biennale gli dedica una sala personale con la presentazione in catalogo di Cesare Brandi, che lo considerava tra i più grandi scultori italiani del Novecento. Noto per le monumentali opere in bronzo, come la Porta della Morte della Basilica di S. Pietro o il Monumento al partigiano di Bergamo, Manzù vanta una produzione di lavori meno imponenti tra cui non mancano alcuni capolavori legati anche al mondo della rappresentazione femminile dove il forte e intenso senso plastico della forma si accompagna a un’eco arcaica e a un sensibile gusto luministico “perché – come lui stesso scriveva – la luce quando si lavora viene dalle mani”. Proprio con la rappresentazione delle “sue donne” trasferisce nel bronzo la qualità palpitante della carne e le figure flessuose e leggere, ma anche irruenti e vitali, mostrano sensibilità e dolcezza espressiva, come il ritratto di Daniela Gardner presente a Taranto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA