Cultura sul web, Formenti: «I rischi e i vantaggi della nuova fruizione»

Cambiano nell’era di Internet il consumo di libri, musica, film e la divulgazione del sapere: il parere del sociologo
Cambiano nell’era di Internet il consumo di libri, musica, film e la divulgazione del sapere: il parere del sociologo
di Claudia PRESICCE
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Lunedì 15 Febbraio 2016, 15:35 - Ultimo aggiornamento: 15:37
I consumi culturali sono nella società di oggi alla pari delle altre merci: devono rispondere alle stringenti esigenze del mercato, sia per quanto riguarda la distribuzione che, ed è anche peggio, per la produzione. Anche le strade della creatività quindi portano direttamente al “mercato” che, sempre più spesso, è a sua volta condizionato del web. Ma parlare di “cultura web-centrica” e “cultura mercato-centrica” dà l’idea di trovarsi di fronte a due ossimori, perché questi concetti tradiscono l’essenza stessa della produzione creativa, cioè l’essere libera.
«Che i prodotti culturali siano diventati merci come le altre è ormai cosa assodata – spiega Carlo Formenti, docente di Sociologia della comunicazione e dei processi culturali all’Università del Salento – la tesi risale già alla critica anticapitalistica che veniva dalla Scuola di Francoforte, da Marcuse, Adorno e altri. La riflessione è iniziata quando i filosofi di quella corrente mitteleuropea furono costretti a emigrare in America durante la Seconda guerra mondiale ed entrarono in contatto con la grande industria culturale americana, quindi con il mondo di Hollywood, con le case discografiche, con i grandi editori. Cominciò lì la riflessione sulla mercificazione della cultura che proseguirà poi nei decenni successivi. La mia impressione è che la rivoluzione delle nuove tecnologie a partire dagli anni Ottanta, ma soprattutto negli anni ’90 e nel primo decennio del nuovo millennio, abbia accelerato il processo di omologazione e appiattimento della cultura».
Perché è cambiata anche la produzione..
«È cambiato sia il processo produttivo che quello distributivo. In campo musicale, per esempio, ormai siamo in una dinamica di copia-incolla, di ripetizione all’infinito di continui remixaggi dei temi della fase aurea del rock degli anni ’70 e ’80. Lo stesso discorso si può fare sul cinema, sui video e sul ruolo di piattaforme come Youtube. La creatività è in qualche modo incanalata, limitata e predefinita dalle possibilità iscritte nei software, nelle piattaforme, anche laddove c’è un’intenzionalità di originalità e alternatività si rientra facilmente in codici che portano alla trasformazione in prodotti».
La cultura è quindi del tutto web-centrica? Non esistono centri di produzione culturale slegati dal web?
«Sicuramente c’è un’egemonia. Il fatto che altre dimensioni non abbiano più peso può essere un’iperbole, perché continuano ad esistere sacche di produzione culturale che seguono altre logiche. Però è vero che in campi strategici, come l’informazione, l’editoria nelle sue varie articolazioni, tutto passa attraverso questo meccanismo che vede una partecipazione diretta del consumatore in un ruolo di “prosumer” culturale (consumer + producer). Il cinema mantiene ancora un suo statuto a parte, però era stato commercializzato abbondantemente già prima dell’arrivo del web con l’egemonia dell’industria cinematografica americana. C’è un dominio americano schiacciante da questo punto di vista non necessariamente legato alla qualità, anche perché gli americani sono in grado di sfornare prodotti ottimi».
Chi produce cultura e deve sottostare ad un meccanismo così stringente non finisce per disaffezionarsi alla sua produzione?
«Il livello di produzione culturale e artistica tende a separarsi dal livello mainstream. Di fatto i giovani scrittori, musicisti o artisti o a priori si adattano alle regole dell’industria culturale dei vari settori, distributivi e produttivi, e ciò comporta anche quella riduzione di entusiasmi e disaffezione, oppure chi insiste a scegliere una produzione culturale fuori dai canoni della produzione mainstream deve trovarsi altre fonti di reddito e la sua diventa un’attività espressiva considerabile del tempo libero. Tuttavia senza vincoli non è nessuno perché siamo tutti immersi nella produzione industriale di cultura e quindi influenzati dalle sue forme estetiche».
Quanto la qualità è condizionata dal mercato? E quanto la cultura ha ancora una funzione formativa, è sempre uno strumento di crescita?
«Per farne uno strumento di crescita occorre avere gli strumenti, quindi sono sempre più delle minoranze coloro che, per situazioni familiari favorevoli o livelli di reddito che consentano di disporre del proprio tempo, possono, direi, “coltivarsi”. Ci sono fattori sociali economici e antropologici che concorrono nel rendere sempre più difficili certi percorsi. Tuttavia la cultura nelle sue forme classiche risponde sempre a bisogni ed esigenze che sono imprescindibili per qualsiasi società umana, anche quelle più martoriate dai processi di omologazione e industrializzazione».
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