Brindisi, Marcella Di Levrano vittima di mafia: «Finalmente restituiti a mia figlia onore e dignità»

Marisa Fiorani e, nell'immagine alle sue spalle, la figlia Marcella Di Levrano
Marisa Fiorani e, nell'immagine alle sue spalle, la figlia Marcella Di Levrano
di Salvatore MORELLI
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Giovedì 16 Marzo 2023, 05:00

L'impegno e il coraggio dell’82enne Marisa Fiorani che da anni porta avanti in ogni angolo d’Italia, a cuore aperto, il ricordo della figlia 26enne Marcella Di Levrano, uccisa per mano della Sacra corona unita il 5 aprile del 1990: la giovane venne ritrovata massacrata a colpi di pietra in un angolo del bosco di Santa Teresa e dei Lucci, a metà strada tra Mesagne e Brindisi.

Il riconoscimento, ad oltre 30 anni dall'omicidio

Era improvvisamente scomparsa l’8 marzo, vittima di un’esecuzione in piena regola. L’anno scorso a novembre, a 32 anni dall’omicidio, il Ministero dell’Interno ha decretato ufficialmente Marcella vittima innocente della criminalità organizzata. Il 21 marzo di ogni anno, in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, i nomi di queste persone vengono nominate nelle piazze italiane.

La battaglia della madre, oggi 82enne

Marisa, spesso impegnata come ospite anche nelle scuole, nel corso di una serata-dibattito organizzata pochi giorni fa a Settala (in provincia di Milano) contro le mafie, in un drammatico racconto ha dipanato la vita che la giovane Marcella ha vissuto per le strade di Mesagne, Torchiarolo e San Pietro Vernotico tra gli anni Ottanta e Novanta, rivolgendo un accorato appello ai numerosi giovani presenti: «Ai ragazzi dico: i problemi non si risolvono con la droga».

L’inizio di un calvario quando, per fragilità e ingenuità, la vita di Marcella entrò nel mondo degli stupefacenti: un tunnel senza uscita.

Il tunnel dell'eroina

“Un giorno non tornò a casa da scuola quando frequentava la seconda superiore (l’istituto magistrale a Brindisi). Quando fece ritorno era in uno stato pietoso a causa della droga”. Si trattava di eroina. Dai tempi della scuola, Marcella (jeans, maglietta, ma anche tanto bella) confidava tutti i suoi pensieri all’interno di un diario dove raccontava dei suoi “fantasmi”: niente favole o principesse, ma amicizie sbagliate, insieme a storie di mafia e di droga, annotando tutto ciò che le accadeva. Ricordi non facili per questa madre-coraggio anche quando racconta che la figlia divenne a sua volta madre di una bimba (nel 1984), anni in cui iniziò a frequentare gli ambienti della malavita locale. Un giorno, però, Marcella decise di cambiare strada, iniziando a collaborare con le istituzioni.

Il riscatto e la collaborazione con la giustizia

Ricorda Marisa: «Andò in questura e raccontò tutto ciò di cui era venuta a conoscenza in quegli anni. Parlò di grossisti della droga e anche di omicidi». Era il 24 giugno del 1987 quando Marcella arrivò negli uffici della Squadra mobile di Lecce, accompagnata dall’ispettore Fernando Tomasi. Aveva deciso di dare un taglio netto al passato, di lasciarsi alle spalle la droga e certe frequentazioni pericolose. Per dedicarsi alla figlia. L’ascoltò il dirigente Romolo Napoletano, senza che nulla di tutto quello che raccontò fosse messo a verbale perché Marcella aveva detto in premessa di non volere esporsi per paura di ritorsioni. Fu usato un registratore. E quella scelta coraggiosa, Marcella la pagò con la vita. Lasciava una bimba di 6 anni alla quale voleva regalarle un futuro migliore, due sorelle e una madre che non smette di testimoniare e che da anni racconta e si racconta soprattutto ai giovani per cercare di fare sensibilizzazione. A Marcella non fu perdonato il coraggio avuto: rompere quel muro di silenzio e di omertà su cui contava l’ascesa della Scu. Per gli inquirenti si trattò di una barbara esecuzione dovuta a uno sgarbo.

La memoria da preservare

Una orrenda fine sicuramente riconducibile a dinamiche di tipo mafioso, come sarebbe emerso dalle dichiarazioni rese da più collaboratori di giustizia, ritenuti del tutto attendibili, nel corso di due maxi processi leccesi. Indicata come testimone in quello celebrato a novembre del 1990 presso il Tribunale di Lecce, lei in quell’aula non ci arriverà mai. Tanto meno, non sono stati mai giudicati né i mandanti né gli esecutori materiali. L’uomo indicato dai collaboratori di giustizia quale autore materiale dell’omicidio di Marcella sarebbe stato ammazzato nel 2000. Marisa ha inoltre detto l’altro giorno: “A 32 anni dalla morte, mia figlia è stata inserita nell’elenco delle vittime della mafia: così le sono stati finalmente restituiti onore e dignità. È stato riconosciuto il contributo che ha dato alla giustizia. Lo merita Marcella e lo meritano tutti coloro che hanno deciso di collaborare con la giustizia”. Marcella riposa nel cimitero di Mesagne, in uno di quei vialetti che, tristemente, ricordano un’altra giovane: Melissa Bassi, morta mentre andava a scuola a Brindisi il 19 maggio del 2012 a causa dell’esplosione di una bomba. Due “fiori” calpestati dalla follia umana. Alla memoria di Marcella oggi sono intitolati tre presidi di Libera, l’associazione antimafia: quello universitario di Gorizia, di Pavia e di Aosta. Inoltre, La “Cooperativa Sociale Terre di Puglia – Libera Terra” le ha dedicato un vino, le cui uve vengono coltivate su terreni confiscati alla Sacra Corona Unita. Nel 2021 è stato intitolato a Marcella anche un luogo che ospita richiedenti asilo in Piemonte, “strappato” di mano dallo Stato a narcotrafficanti.

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