L'intervista/Bronzini (Uniba): «Università e impresa allo stesso tavolo per creare opportunità»

L'intervista/Bronzini (Uniba): «Università e impresa allo stesso tavolo per creare opportunità»
di Enrico FILOTICO
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Venerdì 27 Agosto 2021, 14:49 - Ultimo aggiornamento: 20:42

Tra poche settimane prenderà il via l'anno accademico dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro, il quinto Ateneo d'Italia è sempre più al centro dei progetti della Regione ed ambisce a diventare un punto di riferimento per tutto il Mezzogiorno. Il Magnifico Rettore Stefano Bronzini analizza la condizione delle università italiane, guardando al presente con il ritorno in presenza e al futuro attraverso i fondi che arriveranno dal Pnrr affiancati allo stanziamento che l'Europa aveva voluto con il programma Horizon 2021-27. Messo a bilancio prima della pandemia da Coronavirus.
Si torna in presenza e dal Ministero avete avuto le regole di ingaggio.
«Le regole di ingaggio sono chiare da inizio agosto, sebbene nella circolare a noi arrivata viene indicata solo la regola che chi non ha il green pass non può accedere all'Università. Il nostro personale è al 100% vaccinato, mentre per gli studenti noi dobbiamo effettuare i controlli a campionatura. In questi giorni noi abbiamo varato il sistema di verifica del controllo green pass, quindi non ci saranno problemi».
Tutto liscio allora...
«Si però il problema è che le verifiche vengono fatte dalle persone, impiegheremo moltissimo tempo per adottare le verifiche necessarie».
Sull'organizzazione didattica come siete messi?
«Per questo capiremo strada facendo. Noi vogliamo un'università in presenza, fermo restando che bisogna garantire in ogni caso una modalità di erogazione della formazione anche a distanza per coloro che per varie ragioni non si sono vaccinate».
Oggi esiste interlocuzione tra Università, Stato e Regione?
«Sì, il sistema universitario nazionale è stato coinvolto e anche noi lo siamo stati come UniBa. Ci sono tavoli dove stiamo cercando di fare progettazione razionale. Quello che mi preoccupa sono i tempi di progettazione, non allineabili con le nostre procedure burocratiche».
L'università è ancora un crocevia fondamentale per la crescita di un territorio?
«La pandemia ha sdoganato la ricerca, facendolo diventare un lavoro e non un fattore di nicchia. E lo dimostra il mondo della produzione privata. Dalle aziende alle grandi industrie che sempre di più si affiancano a noi e si intersecano con noi. Ecco perché abbiamo varato un processo di interconnessione tra aree diverse che è molto piaciuto all'esterno. Dobbiamo sdoganarci dai saperi verticali e affrontare la multidisciplinarietà».
Cosa ambisce ad essere Bari per tutto il Mezzogiorno?
«Non dobbiamo essere provinciali e pensare al trattenimento dei propri. Ciò che non è provinciale è garantire l'accesso al maggior numero di persone agli studi universitari. L'altra politica che noi dobbiamo caldeggiare è quello di creare un tessuto economico che permetta alle persone formatisi qui e altrove di trovare nel nostro territorio pugliese un'interfaccia per realizzare quella progettualità che in Puglia c'è e deve estendersi. Una colpa forse è quella di non inventare caselle di mercato del lavoro inedite nel resto del mondo».
L'offerta formativa sembra orientata in questa direzione.
«La mia tabella di marcia prevedeva un intervento forte nelle arti di ricerca, abbiamo coinvolto circa mille ricercatori con un progetto di due milioni di euro. Il secondo step era quello della governance e abbiamo varato un nuovo statuto. L'ultimo è quello sulle offerte formative, lo abbiamo fatto solo in modo marginale quest'anno».
In che direzione andrete nei prossimi anni?
«Quest'anno abbiamo varato tre corsi nuovi (annunciati su questo giornale nell'edizione del 24 agosto) e modificati altri, il vero intervento però arriverà quest'anno».
Vi collegherete al mondo del lavoro in maniera più diretta?
«Noi non sappiamo cosa voglia il mercato ed è lo stesso mercato che non sa darci delle indicazioni. Noi dobbiamo costruire dei tavoli per spiegare noi all'impresa di cosa ha bisogno, poi saranno i privati a dettarci le caratteristiche e le direzioni in cui vuole investire e scommettere».
Ci spieghi meglio...
«È semplice. Spesso l'imprenditore sa dove vuole andare ma non sa qual è l'equipaggio che gli serve. Il passaggio è: mettiamoci insieme per decidere, per raggiungere degli obiettivi noi possiamo indicare di quali competenze si ha bisogno. E si sa, come dimostra il mondo anglosassone, le conoscenze trasversali sono al centro del mercato del lavoro».
Quindi il mantra della nuova Uniba quale sarà?
«Vorremmo contaminare i corsi di laurea».
A livello regionale, quanto sono importanti le vostre sedi distaccate?
«Dobbiamo far diventare Taranto non solo il polo economico-giuridico della città, lì dobbiamo fare tanto. Possiamo pensare ad ambiti specifici territoriali, basta pensare ad ambiente e salute. Lì c'è sicuramente bisogno di centri di ricerca universitari e questo è nella mappatura della nostra Università, tant'è che tra un po' sorgerà un nuovo dipartimento in ambito sanitario. Un presidio perché le questioni sanitarie di Taranto possano trovare una giusta dimensione e collocazione in una prospettiva di ricerca, il problema è mettere su centri di ricerca per una migliore qualità della vita. E Taranto ne ha diritto e bisogno. Noi voglia più centri di ricerca universitari».
Quale sarà la mission dei suoi sei anni?
«Io vorrei che questa fase dell'Università le permettesse di sdoganarsi da paradigmi molto novecenteschi. Inserirla in quella rete nazionale e internazionale dei saperi trasversali. La cosa che mi ha dato maggiore dolore è stato vedere l'Università vuota, io la vorrei viva, internazionale e protagonista nel dibattito delle idee del nuovo millennio sullo sviluppo».
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