​Gomorra barese: le "stese" a Japigia e il lutto tra i carcerati

Dalle carte dell'indagine che ha portato all'arresto di otto affiliati ai clan Palermiti e Parisi emergono altri particolari sulla faida del 2017. Il pentito: «Dopo l'omicidio del mio amico ero detenuto e girai il biliardo»

Gomorra barese: le "stese" a Japigia e il lutto tra i carcerati
di Nicola MICCIONE
4 Minuti di Lettura
Venerdì 1 Dicembre 2023, 07:32 - Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 11:23

Quando la notizia dell'omicidio di Francesco Barbieri, alias «u' Varvir», ucciso il 17 gennaio 2017 in via Prezzolini, a Japigia, perché «aveva cambiato il canale di approvvigionamento della droga», rifornendosi da Antonio Busco, è arrivata nel carcere di Bari, Domenico Milella, aveva «fatto il lutto, girando il biliardo». A raccontarlo agli inquirenti è stato proprio «u' Gnor», oggi diventato collaboratore di giustizia: «Vengo a sapere che Barbieri è morto. Giro il biliardo, sa a Bari come funziona - ha raccontato agli inquirenti -. È amico mio, è amico mio».

Per quel delitto, e per il successivo omicidio di Nicola De Santis, «Il palestrato», avvenuto il 12 aprile in via Archimede - un agguato in stile Gomorra, in cui «le modalità furono quasi cinematografiche» -, mercoledì gli agenti della Questura di Bari hanno arrestato su ordine del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Paola Angela De Santis, Filippo Mineccia (di 39 anni), Michele Ruggieri (36), Giovanni Palermiti (figlio di Eugenio, di 47), Gaetano Mastrorilli (47), Raffaele Addante (48), Nicola Parisi (fratello del boss Savino, di 51), Domenico Pagone (68) e Francesco Triggiani (47).

Tutti pregiudicati e ritenuti responsabili, a vario titolo, di due omicidi, di un tentato omicidio, di porto e di detenzione di armi da guerra e di armi comuni da sparo, favoreggiamento e ricettazione. Tra i due omicidi, anche quello di Giuseppe Gelao, ucciso il 6 marzo 2017, come forma di vendetta, da Busco che non solo «si è permesso di parlare male del suo padrino Savino», ma è anche andato a dare fastidio «a loro» (ai Palermiti), giungendo «ad assassinare Gelao», detto «Ciolone».

I dettagli

Tre omicidi, «consumati con fredda e lucida determinazione, premeditazione e modalità mafiose», secondo i magistrati antimafia che hanno coordinato le indagini, Fabio Buquicchio, Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano, «connessi e che si inquadrano in una faida sviluppatasi a Japigia tra gruppi criminali desiderosi di conquistare o di conservare il predominio assoluto nella gestione delle fruttuose attività illecite, in particolare il traffico e lo spaccio di stupefacenti». A ricostruire la guerra di mafia che, nel 2017, ha insanguinato le strade di Japigia, oltre al lavoro certosino dei detective della squadra mobile di Bari, diretti dal primo dirigente Filippo Portoghese, che hanno messo i pezzi del puzzle tutti al loro posto (dagli esiti delle prove genetiche sui caschi dei presunti esecutori materiali dell'omicidio Barbieri, ai risultati degli accertamenti tecnico-balistici sulle armi sino alle conversazioni intercettate e al solido movente) sono state anche le dichiarazioni di Milella. Lui aveva un «ruolo apicale» nel clan Palermiti. «Infatti, ogni azione criminale commessa dai sodali doveva essere previamente autorizzata» da lui. E ciò, «a maggior ragione, per un atto dell'importanza di un omicidio».

Era il primo marzo 2017, quando Milella, per un vizio di forma, lasciò il carcere di Bari. Fuori, ad attenderlo, il gotha della criminalità di Japigia: Palermiti, Mineccia, Ruggieri e Gelao, tutti armati di pistole. Quest'ultimo gli avrebbe dato «10mila euro, utili a trascorrere tre giorni fuori Bari per festeggiare la scarcerazione». Milella, però, decise di rimanere in città: «Che feci io? Non me ne andai più, me ne andai tre giorni» in un hotel del centro con Ruggieri e le loro famiglie. «Il reale obiettivo di Milella - hanno poi ricostruito gli inquirenti - era quello di restare solo con Ruggieri, per farsi spiegare cosa fosse davvero accaduto a Barbieri e per quale ragione ci fosse la situazione di pericolo che li aveva indotti a girare armati». E così è stato. Ruggieri, nel corridoio dell'albergo, «per non essere intercettati», gli avrebbe raccontato che «Barbieri si stava avvicinando a Busco e gli stava raccontando i fatti loro». Mineccia, per gli inquirenti, «voleva uccidere sia Barbieri che Busco», anche in ragione di pregressi contrasti avvenuti tra i Palermiti e lo stesso Busco, e si sarebbe «messo a zecca» perché l'agguato armato si realizzasse. E Gelao, che in un primo momento ha rifiutato, sapendo che Milella non l'avrebbe presa bene («Quello è amico a Mimmo, perché dobbiamo fare una cosa del genere?», alla fine ha ceduto, prima di essere ucciso da Busco e company. Un omicidio anticipato su Facebook dall'amante dello stesso Busco: «E fu così che uccise tutti». Gli interrogatori di garanzia saranno fissati nelle prossime ore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA