Veleni killer dall’Ilva: all'Italia un mese per difendersi in Europa

Veleni killer dall’Ilva: all'Italia un mese per difendersi in Europa
di Alessio PIGNATELLI
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Venerdì 20 Maggio 2016, 06:07 - Ultimo aggiornamento: 17:44
L’Italia dovrà esprimersi entro il 20 giugno. Un mese di tempo per presentare le osservazioni di parte: si evince da un documento ufficiale firmato dal cancelliere aggiunto di sezione, Abel Campos.
Dopo la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo di processare lo Stato italiano per le conseguenze delle emissioni inquinanti della grande fabbrica dell’acciaio, emergono i primi dettagli. Come si può intuire, i tempi sono nettamente diversi da quelli della giustizia nostrana.

All'origine del processo, ci sono due procedure separate e poi accorpate. Il primo risale al 29 luglio 2013: cinquantadue candidati rappresentati davanti alla Corte dall’avvocato Sandro Maggio e da Daniela Spera, anche lei ricorrente. Il 21 ottobre 2015, invece, istanza presentata da Lina Ambrogi Melle e altre 129 persone contro l’Italia: a rappresentarli è Andrea Saccucci dello studio legale internazionale “Saccucci Fares & Partners”.
I ricorsi si basano su un’accusa: lo Stato non è riuscito ad adottare tutte le informazioni giuridiche, normative e pubbliche per la protezione dell’ambiente e della salute, “in particolare alla luce degli elementi risultanti dalle relazioni degli esperti come lo studio Sentieri”.
 
Nell’informativa della Corte destinata allo studio legale internazionale “Saccucci Fares & Partners”, si fa riferimento a tre articoli della Convenzione europea.
L’articolo 2 spiega che il “diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena”.
L’articolo 8 cita il diritto al rispetto della vita privata e familiare: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza e non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto” a meno che non vi siano altri diritti da tutelare.
L’articolo 13, invece, rimarca che “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.
Strasburgo valuterà, in base ai contraddittori e alle prove fornite, se questi diritti sono stati violati.
Proprio in base all’articolo 13, i ricorrenti denunciano di non disporre di alcun “rimedio interno accessibile, adeguato ed effettivo”. Si sottolinea che per quanto riguarda la dedotta violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, “tutti i rimedi civili e penali si sono a oggi rivelati ineffettivi”.
In particolare, “nessuna decisione giudiziaria ha sinora accordato un risarcimento per il pregiudizio alla salute e al godimento della vita privata e familiare sofferto dai residenti del Comune di Taranto. Nessun seguito ha avuto la querela sporta alla Procura di Taranto da una cittadina ammalatasi di leucemia contro i dirigenti dello stabilimento Riva per i danni causati alla salute e alla vita”.
Lapidario, infine, un passaggio sulle autorità italiane: “Al di là di eventuali risarcimenti per il pregiudizio sofferto si fa notare che un’azione per danni non condurrebbe all’abbassamento dei livelli di sostanze inquinanti né porrebbe rimedio alla rilevata incapacità delle autorità statali e locali di gestire in modo efficace e tempestivo l’emergenza inquinamento”.
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