Un funerale di lusso? Da Sammaruca casse in oro doublé già nel 1893. E compare la prima pubblicità di un negozio che vende bare e arredi

Un funerale di lusso? Da Sammaruca casse in oro doublé già nel 1893. E compare la prima pubblicità di un negozio che vende bare e arredi
di Anita PRETI
6 Minuti di Lettura
Domenica 30 Ottobre 2022, 11:22 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 02:13

Un funerale di lusso? A Taranto era possibile già nel 1893 quando comparve la prima pubblicità di Sammaruca il negozio che vende bare e arredi. Ci vuole coraggio: Trieste si oppone alla oppressione austro-ungarica, sono i primi segni di quel che sarà. Nasce la Banca d'Italia. Nasce anche, a Genova, Palmiro Togliatti. Questo è quel che accade fuori dai confini della Puglia, in quel lontano 1893. A Taranto sono tutti d'accordo: bisogna creare un ufficio d'igiene per una città che continua ad eludere la legge sanitaria in vigore già da un lustro. È stata bandita la gara d'appalto per la costruzione del secondo piano del Palazzo degli Uffici e si procede con la selciatura di piazza Fontana.

Sulle pagine di giornali locali la cronaca nera bilancia quella mondana. Si plaude ancora al concittadino Francesco Parisi che ha preso parte alla Colombian Exposition di Chicago: a che titolo vi abbia partecipato o cosa abbia esposto non è dato sapere ma l'occasione era davvero ghiotta perchè la Fiera onorava il quarto centenario della scoperta dell'America. Le cose tutto sommato vanno bene anche da queste parti: c'è movimento, lavoro. Tartane golette piroscafi brigantini: una varietà di naviglio per testimoniare la vivacità del porto commerciale. I giornali sono pieni di réclame, gli inserzionisti si fanno ogni giorno più numerosi. Per esempio: la ditta Cosimo Sammaruca, fabbrica e magazzino di mobili in via La Cava dai numeri 17 al 20, vende stanze da letto, complete, economiche. Complete al punto da potervi aggiungere un grande assortimento di oleografie sacre e profane, secondo i gusti per ingentilire le pareti. Nel quarto di pagina che ha acquistato per il 4 giugno 1893 su La Nuova Sentinella (e continuerà a farlo nei giorni successivi come lo ha abbondantemente fatto in quelli precedenti) il vispo negoziante reclamizza la sua merce: mobili ricoperti fantasia, quadri artistici, aste dorate, tappeti, tende, tappezzerie. E poi legnami per impiallacciatura e traforo.

La reclame

Ma anche il più disinvolto fra i tarantini, uno scafato pare si dica da queste parti, ha un sobbalzo arrivando con lo sguardo alla fine della pagina. Il lettore punta bene gli occhiali, come fari, stenta a credere ma c'è scritto proprio così: oltre ai mobili e agli altri arredi, alle tende e alle tappezzerie di varie forme, disegni, colore, la stimata ditta di via La Cava vende casse mortuarie in legni di lusso di ogni grandezza. E avverte altresì il lettore che l'ultimo arrivo o per meglio dire (data la delicatezza dell'argomento) la più recente fornitura nel magazzino comprende parature ed accessorii per casse mortuarie in nickel, oro dublè ed ebano. L'oro doublé o placcato è quella sottile lamina che si sovrappone ad un metallo per nobilitare una decorazione. Non si teme concorrenza, dichiara con malcelata albagia il signor Cosimo. E c'è da credergli. Se è limitata l'offerta, per quei modelli scarseggia anche la domanda. Non sono molti in città infatti, in quella fine Ottocento, a potersi permettere certi acquisti per un funerale di prima classe: con la carrozza nera a grandi vetrate e un tiro doppio di cavalli, il vetturino a cassetta e magari con la banda al seguito che suona straziando la commozione degli intervenuti. Più probabile, per molti, una mesta cerimonia veloce, un funerale fusce-fusce (corri-corri, scappa-scappa) spesso di competenza della municipalità a causa dell'indigenza del e dei protagonisti. Nell'approssimarsi della commemorazione dei Defunti, il 2 novembre, questi sono discorsi bislacchi, storie e storielle che inducono chi ha Fede a pensare con serenità alla possibilità nell'inclusive-extra-tour della vita di tornare ad incontrare coloro che ha amato. Tutti gli altri invece, di fronte a questi argomenti, corrono a cercare legnetti, ferro, sale e forme sferiche, partendo da quelle più vicine. Eppure è la più prevedibile manifestazione della vita. Come dice Morgan (sì, il cantautore Marco Castoldi che ha appena pubblicato un libro di sue poesie): che senso ha la vita se non quello di somigliare solo alla morte. In un altro libro di poesie, quelle del grande Eduardo, si trova l'immaginario discorso con la grande Signora. La conversazione tra l'artista, d'ora in poi detto guagliunciè, e la vicchiarella (così si presenta) verte intorno ad una finestra (un mattino s'è araputa a fenesta, dalla quale la morte è entrata) e ad un possibile appuntamento, per esempio una dummeneca. Eduardo nicchia, adduce impegni. E lei si mostra accondiscendente, per ora è importante solo fare amicizia. Salvo, mentre sta per andarsene, un fermo: Ah, me so' ricordata./ Quanno vene a dummeneca,/ lassa a fenesta aperta./ Sinò tu chiude,/ io arapo/ sparagnammo fatica, non chiudere quella finestra, io l'apro lo stesso, risparmiamo fatica. Ad indicare l'ineluttabilità dell'evento. E, di verso in verso, mai dimenticare che dall'altra parte dell'oceano, nel 1915, viveva un uomo che ha vestito la morte di poesia: Edgar Lee Master autore di quell' Antologia di Spoon River, verbo per più di una generazione, tradotta per Einaudi da Fernanda Pivano e fonte di ispirazione anche per Fabrizio De Andrè (l'album in questione è Non al denaro non all'amore né al cielo). I 248 abitanti di Spoon River, nell'Illinois degli Stati Uniti, vengono raccontati dal poeta che traccia di ognuno un ritratto mentre loro dormono là sulla collina, nel cimitero di Oaks Hill. Il libro, un successo editoriale che non conosce tramonto ha avuto tanti epigoni; tra i più recenti: Dormono sulla collina di Giacomo Di Girolamo, storie italiane pubblicate da Il Saggiatore. Il pensiero corre allora a tutti coloro che dormono sulla collina di Taranto: Peppe e Giuliana, Peppino e Giancarlo, Franco e Sandro, Tommaso e Giacomo, Nico e Gigi, Paolo e Antonio, Pio e Franco e Nicola, Piero e Cosimo e Giacinto, Tonino e Santi, Diego ed Alfredo e ancora Ettore e Leo, Cosimo e Tino. E il più giovane di tutti, Alessandro, convocato troppo presto lassù perché anche lassù c'era bisogno di lui. Chi legge, se è in grado di farlo, trovi un cognome per ciascuno di questi nomi; sono l'animula delle quali parla un imperatore dell'antica Roma, Adriano, e di cui riferisce la scrittrice francese Marguerite Yourcenar. Ciascuna di esse, vagula blandula più blandula che vagula cioè leggiadra più che vagabonda, ha occupato il suo corpo ma anche un posto in questa città contribuendola a farla grande. Ce ne sono tante altre certamente, unite a quelle dei padri della patria, ma tutte queste animucce che sono adesso sulla collina (La collina è la prima poesia della raccolta messa insieme da Edgar Lee Master) avevano in comune qualcosa. A legarli insieme erano la passione e la pratica della cultura. Sia che fossero operatori del settore per professione, o docenti e presidi, medici e agricoltori, impiegati e teatranti, per mezzo secolo, quello appena trascorso, tutti hanno dedicato la propria vita a quella materia impalpabile, la cultura, quella vera, che rende tolleranti e rispettosi dell'altro. Qualcuno ricorda ancora come Taranto nelle loro mani avesse un aspetto diverso da quello fluorescente che più tardi le è stato dipinto addosso. Per cui quando i più acuti tra gli osservatori sostengono che questa città è senza cultura occorre ricordare che quanti sapevano produrla sono andati via, e ora sono sulla collina. Lì forse continuano a parlare di ciò che era e resta bello, continuano a stendere progetti che fluttuano impalpabili nell'aria, continuano a giocare al gioco della vita. E vale proprio tanto ricordarli, uno per uno magari non solo il 2 novembre quando, come diceva Totò, c'è l'usanza/ per i defunti andare al Cimitero (ognuno ll'adda fa' chesta crianza;/ ognuno adda tené chistu penziero). Unendo possibilmente il loro ricordo a quello di Alda Merini, poetessa per passione e per obbligo (perché la vita a volte impone di diventarlo, se tanta è la sofferenza da smaltire). La Merini che ha vissuto un certo numero di anni a Taranto e qui ha lasciato conoscenze, amicizie, affetti è scomparsa il primo giorno di novembre del 2009. In queste ore arriva provvidenziale sui tavoli delle librerie una raccolta di suoi inediti (Ogni volta che ti vedo fiorire, pubblicata dall'editore Manni). Sono versi e minuscoli testi che Alda aveva dettato, consegnato o dedicato al suo editore di fiducia e amico ineguagliabile Alberto Casiraghy: Per te che mi apri la porta dell'ascensore/ per farmi salire al cielo. Sulla collina dove vivono gli spoonriver tarantini, l'ascensore è fermo. Perché il cielo lo hanno già meritato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA