Ex Ilva e accordo di programma, Brigati (Fiom): «Si parte dopo, non prima. Serve il piano industriale»

Federmanager sollecita la ripresa della produzione della fabbrica jonica

Ex Ilva e accordo di programma, Brigati (Fiom): «Si parte dopo, non prima. Serve il piano industriale»
Ex Ilva e accordo di programma, Brigati (Fiom): ​«Si parte dopo, non prima. Serve il piano industriale»
di Domenico PALMIOTTI
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Giovedì 4 Maggio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 13:52

«Gravissimo che si parli di accordo di programma per l’ex Ilva quando ancora non conosciamo nulla del piano industriale e degli investimenti di quest’azienda», dichiara a Quotidiano Francesco Brigati, segretario Fiom Cgil. E per Federmanager, la federazione dei dirigenti di azienda, “non può la cattiva politica prevalere sugli interessi territoriali e nazionali e sulla vita dei lavoratori. Vengono riportate notizie sulla possibilità di arrestare le produzioni dell’area a caldo in vista della decarbonizzazione e tutto ciò appare privo di ogni logica in una sana gestione industriale. È già ben noto che la fabbrica senza area a caldo non può funzionare”.

C’è stato solo un primo incontro di approfondimento tra la struttura del ministero delle Imprese e il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, sull’accordo di programma per l’ex Ilva (ora Acciaierie d’Italia), non si è messo nero su bianco nulla perché il percorso è ancora lungo, e nemmeno scontato nell’approdo finale, eppure quello emerso dalla riunione del 28 aprile è già bastato ad innescare una serie di reazioni critiche.

Dei sindacati soprattutto. «Sull’accordo di programma si parte dopo, non prima. Il Governo metta chiaro cosa vuole fare» sostiene Brigati, per il quale le priorità sono i piani industriale, occupazionale e ambientale.

La polemica

Siamo, rileva Brigati, al fatto che «loro conoscono e loro contribuiscono a determinare le sorti di migliaia di lavoratori senza che chi li rappresenta sia a conoscenza di quello che deve accadere di qui ai prossimi mesi ed anni. Quando dico loro, mi riferisco al ministero, al sindaco di Taranto e al presidente della Regione Puglia». E se l’accordo di programma fosse il contenitore nel quale mettere anche i piani industriale e ambientale? «Assolutamente no. L’accordo di programma non prevede il coinvolgimento dei sindacati - risponde Brigati -. Giuridicamente gli accordi di programma si fanno tra ministeri ed enti locali. I sindacati non fanno parte di quel progetto. Non può essere l’accordo di programma il contenitore in cui infilo tutto. Noi prima dobbiamo discutere delle sorti della fabbrica. L’incontro di Melucci al Mimit l’abbiamo visto malissimo. Va a rompere nei confronti dei lavoratori - prosegue il segretario Fiom - elementi che, in precedenza, avevamo provato a mettere insieme. Perché sulle questioni dell’ambiente e del lavoro, i sindacati, la Fiom, sono sempre stati in prima linea».

L’intesa di dicembre 2022 col Comune, che vide d’accordo Fiom, Uilm e Usb, è dunque svanita? «Se si riprende il documento sottoscritto in quell’occasione con il sindaco, mica stava scritto accordo di programma. Si parlava di decarbonizzazione, di rivedere gli assetti societari di AdI con l’ingresso in maggioranza di Invitalia. O il quadro è chiaro dall’inizio e si fa un percorso, o non lo è e successivamente lo si cambia sulla base delle proprie idee. Ecco perché è gravissimo quello che è accaduto. Si discute di migliaia di posti di lavoro senza conoscere i piani. A meno che il sindaco - afferma Brigati - non conosca già quello che prevedono ed è ancora peggio qualora fosse così».
Per Federmanager, che interviene col presidente provinciale Michele Conte, “relativamente ai progetti di maggiore complessità come la decarbonizzazione con la produzione di Dri e utilizzo di forni fusori elettrici, questi rappresentano un futuro, un cambiamento ed una transizione verso l’acciaio “green” che nulla ha a che fare con una ripresa produttiva che riteniamo debba essere immediata”. Per Federmanager, “è davvero un peccato che la fabbrica non riesca ancora a decollare in termini di produzione di acciaio e di risultati economici per avviare, finalmente, quella conversione che in molti Paesi si sta concretamente mettendo in moto. Siamo pertanto di fronte ad un controsenso industriale ad un vero e proprio paradosso. Le società Invitalia e ArcelorMittal, pur dando loro atto della difficile situazione della fabbrica (ancora oggi sotto sequestro), non sembrano raccogliere le reali necessità di questo complesso industriale, mostrano segnali di reciproca diffidenza per interessi, forse, contrastanti (il colosso ArcelorMittal è una società concorrente) e, fatto estremamente grave, perdurano da oltre un biennio azioni non coerenti con la normale funzionalità e gestione degli impianti” dice Federmanager.

Per la quale “così proseguendo, il risultato sarà solo quello di una perdita del patrimonio industriale. Certamente non è colpa dei dirigenti operativi delle varie aree produttive, ridotti ad esecutori di direttive imposte dal top management ed espropriati del loro ruolo e che in questa situazione devono essere tutelati per recuperare il loro ruolo”. Per Federmanager, “oggi le emissioni inquinanti, per effetto degli interventi previsti ed eseguiti per le prescrizione Aia (Autorizzazione Integrale Ambientale), sono tutte entro i limiti previsti dalla legge come da puntuali rilevazioni Arpa. Ed è davvero poco comprensibile come in una struttura impiantistica come quella di Taranto, che ha tre altiforni disponibili, se ne utilizzino oggi solo due, pur avendo un terzo altoforno fermo e pronto a partire” e che si sia pianificata una produzione per il 2023 “di solo 4 milioni di tonnellate di acciaio e per l’anno 2024 di 5 milioni”.

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