«Con la nostra musica come al parco giochi»: a tu per tu con Manuel Agnelli

«Con la nostra musica come al parco giochi»: a tu per tu con Manuel Agnelli
di Ennio CIOTTA
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Mercoledì 20 Novembre 2019, 16:50 - Ultimo aggiornamento: 20:48
Dopo il grande successo delle date nei teatri della scorsa primavera, torna a grande richiesta An Evening With Manuel Agnelli feat. Rodrigo D'Erasmo, lo spettacolo che mostra il lato più intimo e confidenziale del frontman degli Afterhours.
An Evening with Manuel Agnelli mantiene il carattere confidenziale che ha caratterizzato il precedente tour con la formula di una scaletta libera, uno spettacolo inedito che unisce intrinsecamente la musica, la letteratura, il racconto nelle sue mille sfaccettature e il dialogo col pubblico.
Accanto alle versioni rivisitate dei brani degli Afterhours si alterneranno cover dense di significati per il suo percorso musicale e letture che hanno ispirato la sua poetica.
Manuel Agnelli sarà accompagnato da Rodrigo D'Erasmo, violinista, polistrumentista e arrangiatore, suo sodale ormai da molti anni in numerosissimi progetti.
Si parla in giro di un suo disco solista. È giusta l'informazione?
«Direi che è un'informazione eccessivamente ottimista. Ho delle cose nuove che sinceramente non so ancora che fine faranno e che tipo di livello raggiungeranno. Diciamo che mi piacerebbe fare delle cose diverse dagli Afterhours ma al momento non hanno ancora preso forma».
Ossigeno e X-Factor sono stati i suoi programmi tv. Quali spinte l'hanno portata nel piccolo schermo?
«Prima di tutto l'ho fatto perché non lo avevo mai fatto prima, è una cosa che volevo affrontare per scoprire dei lati nuovi di me che poi per fortuna ho scoperto e mi ha liberato tantissimo nel sentirmi me stesso anche in un ambito lontano dal mio. Non ero protetto e rischiavo di essere frainteso. Sono esperienze che mi hanno dato ancora più voglia di fare delle cose con totale libertà. Ovviamente Ossigeno è il mio modo di fare televisione, il mio programma, il modo in cui io ho voglia di fare musica in televisione ma probabilmente questa esperienza non sarebbe stata possibile senza la visibilità che mi ha dato X-factor».
A suo parere il rock è ancora sinonimo di ribellione oppure negli anni è diventato un fenomeno stereotipato e legato all'iconografia e all'immagine?
«È decisamente qualcosa di stereotipato. Per carità, lo stereotipo del rock mi piace ancora molto. La ribellione adesso è altrove. Se da un punto di vista sociale o addirittura politico questa trasformazione è fisiologica, dal punto di vista strettamente musicale questa trasformazione non era così scontata. La ribellione adesso è in una certa world music che sperimenta contaminazioni, nella trap, in un certo tipo di hip hop anche mainstream americano. Ci sono soluzioni sonore che sono avveniristiche e pazzesche. Il rock purtroppo è conservatore anche nei suoni, anche se ci sono realtà nell'underground che sono interessanti, però rimangono fenomeni di nicchia».
Che rapporto ha lei con i social network?
«Un rapporto di amore e odio. Sono convinto che internet sia una risorsa eccezionale sfruttata davvero molto male. I social network sono un po' il manifesto della società di oggi. Non mi interessano. Io non ne ho. Abbiamo i social dei nostri progetti che ci servono per comunicare in maniera anche abbastanza sovietica le nostre informazioni. Però secondo me questo tipo di rapporto virtuale fra le persone sta creando dei danni mostruosi alla società».
Mi aggancio alla sua risposta: a proposito di danni causati dai social network, profilazione delle persone, individui che entrano nel personaggio creato ad hoc sui social. Ma a suo parere quanto è vera la realtà che stiamo vivendo? Quanta verità c'è?
«È una domanda difficile e complicata perché ad esempio con i social network è dilagato il fenomeno delle fake news. Tra l'altro è difficile trovare nella storia della stampa che sia stata sempre super partes. Al giorno d'oggi stiamo assistendo ad un disastro pazzesco perché è difficile che la gente abbia ancora fiducia in qualcosa. Non c'è volontà di riscontro o approfondimento e non si analizzano le fonti. Si confondono troppo le notizie con le opinioni».
Cosa vedremo sul palco del teatro Verdi di Brindisi il 20 novembre?
«L'impianto del concerto rimane quello del tour in primavera, una via di mezzo fra un salotto ed un parco giochi musicale dove abbiamo messo un intero negozio di musica sul palco. Il senso è quello di poter cambiare radicalmente la scaletta anche ogni sera e questa cosa mi permette di avere un rapporto più diretto con il pubblico, un rapporto più spontaneo basato sul dialogo. Per me è una cosa nuova che mi stimola tantissimo. Rispetto al tour in primavera chiaramente abbiamo cambiato tutto il contenuto».
Sempre a proposito di rapporto con il pubblico: lei cosa vede dal palco?
«Dipende da cosa faccio e da dove sono. Ad esempio con gli Afterhours se suoniamo in grossi festival il pubblico è quasi una cosa sola, un animale gigantesco che reagisce in maniera abbastanza coerente. Nei piccoli club o nei teatri guardi quasi negli occhi il tuo pubblico scovando le singole individualità. Sono due cose diverse entrambe belle ed avvincenti».
Se le dico Puglia cosa le viene in mente?
«Mi viene in mente l'estate. Veniamo a suonare in Puglia da trent'anni. La regione è molto cambiata nel corso degli anni. Ha cambiato faccia in maniera radicale e veloce soprattutto grazie alla musica e alla cultura. Per i gruppi della mia generazione, penso ad esempio ai Subsonica o Africa Unite, era un appuntamento fisso incontrarsi a Torre Sant'Andrea in estate alla fine dei tour. Era un po' la California d'Italia per noi in quel periodo».
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