Cucina barese, paradiso in tavola: "assassina" e tiella, tradizione e novità

Viaggio tra le eccellenze culinarie dei migliori ristoranti e fast food della città. Resistono i piatti tipici ma spesso vengono rivisitati: «Sempre stimoli nuovi»

Cucina barese, paradiso in tavola: "assassina" e tiella, tradizione e novità
​Cucina barese, paradiso in tavola: "assassina" e tiella, tradizione e novità
di Leda CESARI
4 Minuti di Lettura
Venerdì 20 Ottobre 2023, 05:00

Non di soli spaghetti all’assassina vive l’uomo (di Bari); e neanche la donna (sempre di Bari). Ma neppure, a ben vedere, il turista che approda ormai numeroso alle latitudini della città di San Nicola per venerarne le spoglie, o contemplare le signore che fanno le orecchiette per strada nella città vecchia. A dispetto infatti dell’imperversare ormai annoso, nell’immaginario gastronomico nazionale, della ricetta nata a quanto pare a fine anni ’70 al ristorante “Al sorso preferito” - e riportata agli onori delle cronache nazional-popolari dalla scrittrice Gabriella Genisi e dalle gesta tv della sua Lolita Lobosco - l’architettura complessiva della cucina barese poggia in realtà solida e luminosa su una serie di contrafforti che, pur potendo sostenere potenzialmente non uno, ma mille nuovi piatti della tradizione, già puntellano la gloria di prelibatezze più che sufficienti a decretare la tradizione barese empireo assoluto e incontrastato del gusto planetario. E non è un modo di dire. 

Le tradizioni

«Tiella patate riso e cozze, orecchiette con le cime di rapa o con le braciole di carne d’asina, pesce fresco, cotto e crudo - sushi, levati proprio - e poi i nostri latticini, e per dessert gli sporcamusi, le dita degli apostoli, il “grano dei morti” che si prepara in questo periodo. Senza trascurare poi i dolci di mandorla di Toritto… basta?». Georgia Colombo, chef barese (con padre valdostano) che fa il bello e il cattivo tempo in uno dei ristoranti tipici della città - “Terranima”, al 213 di via Putignani - non conosce dubbio: tradizione è bello. Anche perché il concetto può essere allargato estendendo ragionevolmente i limiti geografici della stessa ai territori vicini: «I turisti reclamano i piatti della tradizione a ogni stagione, ma noi ci consideriamo un luogo di cultura, quindi cerchiamo di proporre cucina stagionale e ricette anche regionali: niente rape d’estate, per esempio, e magari le orecchiette condite invece con ragù di polpo o fiori di zucchina, oppure alla martinese, ovvero con capocollo croccante, melanzana, pomodorini di Torre Guaceto e ricotta fresca». 

Non dimenticando poi lo street food barese, spesso antefatto di altre libagioni che potrebbe rendere satollo perfino Pantagruele, ma non un pugliese doc: «I panzerotti, le “sgagliozze” di polenta fritta, le “popizze” preparate a Bari vecchia: noi proponiamo tutto questo come “apristomaco”». 
La tradizione va bene, ma giusto come trampolino verso stimoli nuovi. A Putignano Angelo Sabatelli detta le regole del tempio del gusto che porta il suo nome: «Oggi l’omologazione impazza, la stracciatella messa ovunque, per esempio, e pochi rischiano per fare qualcosa di diverso. Noi invece amiamo sperimentare sempre, pur avendo in carta tre piatti che non cambiano mai: la seppia con allievo, mandorla e limone, le orecchiette al ragù più 30 - condimento cotto per trenta ore, quindi iperconcentrato - e poi il bonbon al cioccolato caldo con lampascioni canditi e liquore al carciofo». Difficile immaginare mentalmente abbinamenti così arditi, ma di fatto funzionano: «Ideai questo dessert, un dolce-non dolce, per “Eat Parade” del Tg2, rimuginandoci sopra una giornata e poi ricordandomi del cioccolato Bittersweet».

Oggi, invece, il riferimento al patrimonio tipico e gastronomico di Bari e dintorni del menu di via Santa Chiara 1 a Putignano è affidato per esempio a “Fave e foglie”: «Fave con verdure varie, dalla cicoria alla bietola alla lattuga, che nascondono un battuto di pomodoro, olive e cipollotto. Così riusciamo a far convivere sapori classici e presentazione moderna». Perché il punto, insiste Sabatelli, è anche saper osare, non rimarcare sempre e soltanto un’identità che a lungo andare rischia di diventare stucchevole: «Negli ultimi tre mesi abbiamo inserito in menu una specialità per cui la gente è letteralmente impazzita: i colombacci con salsa di whisky torbato. Pensavo non ne avremmo venduto neppure un piatto, invece è stato un grande successo. Certo, avrei potuto piuttosto proporre tagliata di manzo e vivere tranquillo, ma per me cucinare è questo: divertirmi e far divertire, accontentare gli ospiti ma essere me stesso. Diversamente sarebbe una condanna a morte».

© RIPRODUZIONE RISERVATA