L'Epatite Delta (Hdv) è considerata la più grave forma di epatite, nel mondo riguarda circa 20-20 milioni di persone. Una malattia virale che attacca il fegato e che in Italia colpisce 15mila persone ma è ancora sottovalutata. Ad esempio si stima che il 10% degli affetti da Epatite B (Hbv) hanno anche quella Delta, ma meno di un paziente su due con Hbv viene testato.
Per questo la Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e l'Associazione italiana per lo studio del fegato (Aisf) hanno presentato oggi un documento per migliorare la diagnosi e la gestione del paziente con Hdv al XXI Congresso nazionale della Simit a Roma.
Epatite Delta, come prevenirla
Nel documento sono presenti alcuni punti chiave per la prevenzione di questa malattia: vengono identificati i test raccomandati, viene richiesto di analizzare la malattia attraverso metodi non invasivi e di stabilire protocolli di cura per i malati. Inoltre si chiede che i pazienti affetti da Epatite Delta siano seguiti da centri epatologici altamente specializzati, quali quelli ad oggi identificati per il trattamento dell'epatite C, e in stretto contatto con centri di trapianto di fegato nel caso in cui la progressione della malattia debba portare a questa strategia.
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Epatite Delta cosa è
L'Epatite Delta non solo è la forma più grave di epatite virale esistente, con capacità di provocare cirrosi ed epatocarcinoma con tassi molto più elevati rispetto alle altre epatiti, ma è soprattutto una patologia contro cui gli strumenti terapeutici sono limitati.
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Un protocollo e nuovi farmaci per combatterla
«L'idea alla base di questo lavoro congiunto è quella di costruire un punto di riferimento che si aggiorni continuamente, attraverso le novità della ricerca e con le innovazioni nelle molecole disponibili» spiega Alessio Aghemo, segretario Aisf. Il segretario aggiunge anche che a breve dovrebbe essere introdotto in Italia, rimborsato da Aifa, un nuovo farmaco, «bulevirtide, che permetterà di migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti con epatite delta, permettendo di trattare anche senza interferone pazienti che prima non potevano ricevere alcuna terapia».
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