Xylella e un'emergenza infinita. L'esperto Tramutola: «Un paesaggio identitario per la fase nuova»

Gianluca Tramutola, agronomo, esperto in Progettazione del paesaggio è già componente di Impatto ambientale della Regione Puglia

Xylella e un'emergenza infinita. L'esperto Tramutola: «Un paesaggio identitario per la fase nuova»
Xylella e un'emergenza infinita. ​L'esperto Tramutola: «Un paesaggio identitario per la fase nuova»
di Adelmo GAETANI
6 Minuti di Lettura
Sabato 15 Aprile 2023, 06:50

La Xylella dieci anni dopo, il Salento che ancora si interroga su quanto è accaduto e perché, la voglia di rinascita non ancorata ad una visione, ad una progettualità che indichi il percorso da compiere per riparare i danni e restituire un volto riconoscibile ad un territorio sfregiato.
Professor Gianluca Tramutola, agronomo e studioso internazionale, che cosa è accaduto?
"Mi lasci dire, un'autentica tragedia della quale, credo, si fa ancora fatica a rendersene conto in tutte le sue implicazioni".
Gianluca Tramutola, agronomo, esperto in Progettazione del paesaggio è già componente di Impatto ambientale della Regione Puglia, insegna all'Accademia delle Belle Arti di Amsterdam. Il suo è un profilo di studioso internazionale, ma l'amore per la terra di origine, Lecce, gli ha fatto vivere con un senso di coinvolgimento totale l'emergenza Xylella con i suoi effetti devastanti.
Era impossibile fronteggiare la peste dell'ulivo?
«Errori non sono mancati, ma posso dire che a spezzare le radici di un sistema monoculturale costituito dalle distese di ulivi è stata una delle fitopatologie più distruttive riscontrate nella storia dell'agricoltura europea. Un paesaggio fragile e poco biodiverso, come quello salentino, è stato colpito in maniera distruttiva. È stato incenerito il paesaggio vegetale, con la sua monocultura olivicola, che era l'altra faccia della medaglia dell'antico paesaggio di pietra, trasformato dai nostri antenati per renderlo coltivabile».
Le conseguenze?
«La scomparsa traumatica e improvvisa degli uliveti ha avuto forti ripercussioni di tipo ambientale, paesaggistico, economico, sociale e storico-culturale. E' una tragedia di dimensioni enormi, quello che oggi vediamo e sul quale concentriamo la nostra attenzione è parte di un problema più grande le cui implicazioni ancora sfuggono ai più».
Allora, che fare, come muoversi?
«I danni arrecati al territorio dalla Xylella, in modo diretto e indiretto, hanno creato una situazione di una tale complessità che l'approccio per cercare una strategia di ricostruzione paesaggistica deve tener conto e rispettare la struttura del paesaggio ereditato, ma allo stesso tempo deve aprirsi a nuove visioni che possono avere successo solo dentro un'attenta progettazione con al centro una linea strategica che tenga insieme gli interventi per un'agricoltura rinnovata e la forestazione».
A chi tocca fare questo lavoro?
«È possibile dare risposte credibili a questa emergenza ambientale e paesaggistica solo attraverso un approccio multidisciplinare. Problemi di questa natura e di tale complessità non possono essere risolti solo dall'agronomo, il forestale, il paesaggista. Al loro fianco devono esserci anche esperti di politica agraria comunitaria e di strategie dei sistemi agro-forestali. Ma è possibile, anzi necessario, guardare anche oltre».
In che senso?
«Come sempre è avvenuto nella storia, le situazioni di crisi nascondono opportunità per chi le vuole e sa cogliere. Allora, se vogliamo imboccare la strada per una possibile svolta, nel processo di ricostruzione del Salento vanno coinvolte altre professionalità».
Quali, nello specifico?
«Urbanisti, economisti, esperti di marketing territoriale e di economia turistica. In altre parole, serve una rete di competenze professionali chiamate ad operare con una visione che abbia rispetto dell'identità del paesaggio, ma che allo stesso tempo sappia andare oltre guardando alle esigenze della società che lo abita oggi. Solo avendo una visione larga la tragedia della Xylella può diventare il terreno su cui avviare la ripartenza».
Continuiamo a parlare di paesaggio. Ma che cos'è esattamente e come dobbiamo rapportarci?
«In parole semplici, è il risultato della incessante attività dell'uomo - quindi per sua natura il paesaggio è sempre in transizione - e dell'ambiente in cui si trova. Detto così si comprende meglio la ragione per cui siamo obbligati nella difficile, ma obbligata, opera di rendere compatibili il "paesaggio culturale" che abbiamo ereditato con i nuovi possibili percorsi di crescita legati a politiche agricole, turistiche e ambientali economicamente sostenibili».
Facile a dirsi, ma neanche tanto, difficilissimo a farsi. O no?
«Dipende molto dalla volontà politica. Certo, niente di tutto questo si può fare senza una Cabina di regia che può essere solo insediata in un ambito regionale. Si tratta di governare processi complessi per arrivare a decisioni condivise e poi finanziare gli interventi indicati per dare vita ad un nuovo sistema agro-forestale. Ci vuole chiarezza e linearità di scelte, altrimenti si rischia di spendere molti soldi senza ottenere risultati tangibili».
Un nuovo sistema agro-forestale, cioè?
«Il tempo della monocultura olivicola è finito e questo sarà un elemento di grande novità per il futuro. Si può prevedere che il numero di alberi di ulivo sul territorio salentino sarà almeno dimezzato rispetto a dieci anni fa. Ci sarà spazio per altre coltivazioni come nel passato quando c'era una diversificazione delle culture agrarie con tabacco e frutteti. Tocca alla Regione, attraverso l'attivazione della Cabina di regia, mettere a sistema e coordinare le politiche del Piano paesaggistico pugliese con le politiche agrarie di trasformazione che per nessun motivo possono prescindere dalla valutazione e dalla verifica su una società nel frattempo molto cambiata».
A che cosa si riferisce, esattamente?
«Semplice, noi non possiamo pianificare una trasformazione del paesaggio se nessuno vuole più lavorare nella campagna. Questo è un fattore dirimente e che precede ogni scelta successiva. Ecco perché nel processo decisionale vanno coinvolti a pieno titolo anche coloro che dovranno essere protagonisti diretti della trasformazione, se vorranno esserci. Se non c'è chi materialmente deve operare sul campo, come si può pensare di partire? E evidente che occorrerebbe cercare altre soluzioni».
Dal punto di vista tecnico chi dovrà intervenire per la rigenerazione produttiva del paesaggio agrario salentino?
«Un ruolo determinante sarà dei tecnici agronomi e forestali che devono avere un approccio paesaggistico-ambientale. È la fase in cui la conoscenza tecnica e la programmazione devono convergere e muoversi in sinergia, anche perché vanno valutate particolari compatibilità».
Tipo?
«C'è un problema poco considerato quando si parla dei frutteti ed è quello delle risorse idriche. Noi abbiamo poca acqua e i fenomeni di siccità si fanno sempre più sentire. Allora, ci sono davvero le condizioni perché il Salento diventi una terra con alberi da frutto? È un problema che va approfondito, per questo insisto sulla necessità di una valutazione concertata delle cose da fare per evitare di partire con il piede sbagliato».
Come immagina la foto del Salento tra dieci anni?
«Vedo, ma forse sogno, un paesaggio mediterraneo capace di offrire alla popolazione che lo abita l'opportunità di vivere con dignità e armonia con il proprio territorio.

Il paesaggio è per la società il luogo dove sentirsi in equilibrio e sicuri, il luogo della vita e dell'anima, il luogo delle radici profonde che nessuna Xylella potrà mai sradicare».

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