Parla il papà di Ciccio e Tore: «Con la tragedia di Manfredonia ho rivissuto un incubo»

Parla il papà di Ciccio e Tore: «Con la tragedia di Manfredonia ho rivissuto un incubo»
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Giovedì 13 Luglio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 08:25
Ha appreso la notizia ieri mattina appena sveglio, dopo aver acceso la tv. «Su Canale 5 hanno parlato della tragedia di Manfredonia e ho provato un brivido, ho vissuto minuti molto brutti». Filippo Pappalardi è il padre di Ciccio e Tore, i fratellini di 13 e 11 anni, scomparsi il 5 luglio 2006 e i cui corpi furono trovati in un pozzo il 25 febbraio 2008 (esattamente 15 anni fa) a Gravina di Puglia. Due anni di apprensione, durante i quali, tra l’altro, il padre fu inizialmente accusato di omicidio volontario e occultamento di cadavere, finì in carcere per tre mesi prima di essere liberato e risarcito con una somma di 65mila euro per l’ingiusta detenzione. La tragedia di Manfredonia, pur avendo contorni diversi rispetto a quello di Gravina, ha riaperto quella ferita.
Pappalardi, cosa ha provato quando ha saputo dei fratellini di Manfredonia?
«Sto male ancora adesso mentre parlo al telefono. Questa mattina (ieri, ndr) è stato un pugno allo stomaco, sia per me sia per mia moglie. Stiamo rivivendo lo stesso incubo di tanti anni fa, giornate che non si possono dimenticare. Una differenza però c’è».
Quale?
«Per carità, per il papà e la mamma dei bambini di Manfredonia resta una sofferenza indicibile, ma in questo caso i corpi dei piccoli sono stati trovati dopo pochi minuti, almeno a quei genitori è stato risparmiato lo strazio di restare per due anni senza sapere che fine abbiano fatto i loro figli. Un’atrocità in mezzo a un dolore che non passa mai. Non c’è giorno in cui io non pensi a Ciccio e Tore. Una vicenda, peraltro, in cui a mio giudizio non è stata fatta ancora piena luce».
Cosa la tormenta in particolare?
«Il fatto che almeno uno potesse essere salvato, e non è stato fatto. Salvatore avrebbe potuto essere tirato fuori vivo se qualcuno avesse dato tempestivamente l’allarme. È un tormento che non mi dà pace».
Lei qualche mese fa ha chiesto anche la riapertura delle indagini.
«Ripeto: io ritengo che sulla storia dei miei bambini non sia stata detta tutta la verità. Però per il resto dovete rivolgervi al mio legale».
Si è fatto un’idea di cosa possa essere accaduto martedì sera?
«No. Però devo osservare che ancora una volta, come nel caso di quel maledetto pozzo, ci sono troppe zone prive di sicurezza per i nostri bambini. Tragedie come queste segnano per sempre. E nel mio caso particolarmente, per tutto quello che ho vissuto, prima del ritrovamento dei corpi dei miei figli. Per me sono giorni anche molto particolari, per via di un altro increscioso episodio che mi è accaduto».
A cosa si riferisce?
«La settimana scorsa, in piena notte, malviventi sono entrati nel mio stabilimento di carburanti per portarmi via gli automezzi. Io ero lì e li ho messi in fuga, sparando in aria con una pistola scacciacani. Le forze dell’ordine sono arrivate dopo 40 minuti. Ho protestato e sono stato anche denunciato».
In questo momento è sicuramente il tempo del lutto a Manfredonia, ma c’è qualcosa che dalla sua drammatica esperienza sente di poter dire ai genitori di Daniel e Stefan? In tutti questi anni lei a cosa si è aggrappato?
«Solo a me stesso, ho dovuto farmi forza. A quei genitori dico: sarà durissima, purtroppo, è un dolore che non passa mai. Ma dovranno andare avanti, ho letto che hanno anche altri figli, devono farlo per loro. È valso anche per me e mia moglie, con gli altri nostri figli e con i bellissimi nipoti che ci hanno dato. Ma Ciccio e Tore non li abbiamo mai dimenticati».
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