Un laureato, in media, vive più a lungo di un non laureato. Il dato, per alcuni tratti quasi sconvolgente, emerge dallo studio dell’Istat sulle disuguaglianze sulla mortalità. Più che uno studio vero e proprio un set di tavole che l’Istituto di Statistica ha reso disponibile da qualche giorno. I numeri si riferiscono al 2019, quindi al pre-pandemia, ma proprio dopo l’emergenza covid assumono ancora maggior importanza. “L’attenzione sul tema delle disuguaglianze sociali nella mortalità è sempre più attuale sia in Italia che in Europa. La crisi economica e la recente pandemia hanno evidenziato ulteriormente il bisogno di misurare le disparità all’interno del nostro Paese e il divario tra i paesi europei”, spiega l’Istat nella breve introduzione delle tavole messe a disposizione degli studiosi. Dati che “costituiscono una novità assoluta nel panorama delle statistiche ufficiali - viene specificato - e sono il risultato di un progetto di integrazione dei dati derivanti dall’indagine sui decessi e le cause di morte e il registro base degli individui. Tale integrazione permette di disporre dei decessi e della popolazione secondo le stesse caratteristiche, quali sesso, residenza e titolo di studio e di costruire tassi di mortalità coerenti”.
I dati
Tra i numeri anche quelli della Puglia, che sono assolutamente in linea con quelli del resto d’Italia. A livello nazionale il tasso di mortalità standardizzato nel 2019 è pari a 122,3 per 10 mila residenti. Chi ha conseguito al massimo la licenza elementare ha un tasso di mortalità pari a 135 per 10mila residenti, valore che è 1,3 volte maggiore rispetto al tasso delle persone con un titolo universitario (104,4 ogni 10 mila residenti). E la disuguaglianza peggiora se si considera la fascia di età attiva. In Italia gli uomini di età compresa fra 30 e 69 anni e con un basso titolo di studio hanno un tasso di mortalità 2,3 volte superiore ai coetanei laureati. Nelle donne tale rapporto è meno accentuato, ma è comunque di 1,9 volte. E in Puglia? Il tasso di mortalità dei residenti maschi di almeno 30 anni è di 171 ogni 10.000 residenti per coloro che non hanno alcun titolo di studio o al limite la licenza elementare.
I confronti
Tra i due esempi così distanti, chiaramente, c’è il cuscinetto - con una discesa graduale - delle persone con licenza media e dei diplomati. Verrebbe da chiedersi perché un laureato abbia più possibilità di sopravvivere rispetto a un non laureato. E soprattutto perché tra i 40-50enni i decessi delle persone con la licenza elementare o media sono il doppio rispetto a coloro che hanno un titolo di studio superiore. La risposta è da cercare negli effetti sociali e lavorativi del titolo. E cioè: più spesso chi ha studiato meno ha un lavoro più faticoso, magari usurante. E chiaramente entra in gioco il fattore economico: in media un laureato guadagna di più e di conseguenza ha migliori possibilità di cura, vive con maggiori comfort e così via. O almeno questo lasciano presupporre i dati forniti dall’Istat. Spulciando tra le cause di mortalità, connesse al titolo di studio e all’età, tra i residenti da 30 anni in su l’unica malattia che miete più vittime tra i laureati che tra i non laureati è la demenza senile o l’Alzheimer. In ogni caso i dati dell’Istat si prestano a una serie di interpretazioni e studi. A partire dalla necessità di abbattere le disuguaglianze sociali, economiche e culturali. Perché a queste è correlata anche la mortalità. In fondo era facile immaginarlo.