Guerra in Medio Oriente, Tabarelli: «Carburanti, il quadro potrebbe peggiorare. Cerano resti a carbone»

Guerra in Medio Oriente, Tabarelli: «Carburanti, il quadro potrebbe peggiorare. Cerano resti a carbone»
di Paola ANCORA
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Mercoledì 11 Ottobre 2023, 05:00

«Per il momento gli effetti del nuovo conflitto in Medio Oriente sono modesti: nei territori di Israele e lungo la striscia di Gaza non c’è petrolio, ma lunedì qualche nervosismo si è avvertito sui mercati e le tensioni hanno bloccato il lento calo dei prezzi che era ormai in corso da tempo». Tuttavia per Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, «se la guerra, grave e imprevedibile, dovesse finire per allargarsi anche a Iran, Qatar e Algeria e quest’ultimo Paese imboccasse la strada dell’embargo verso l’Europa, il quadro cambierebbe totalmente, con conseguenze gravissime».

Presidente Tabarelli, l’Algeria – che è la prima fonte di approvvigionamento di gas per l’Italia – si è già schierata con Hamas e c’è davanti una stagione invernale da affrontare. Cosa dobbiamo aspettarci?
«L’Algeria è il nostro principale fornitore di gas.

Sapere che appoggia una associazione terroristica come Hamas non è bello, ma per ora non possiamo fare nulla».

Peraltro il 5 ottobre scorso il Parlamento europeo ha votato all’unanimità una risoluzione contro l’Azerbaigian, che il 19 settembre ha attaccato il vicino Nagorno-Karabakh. Da quel Paese abbiamo importato quest’anno 7 miliardi di metri cubi di gas e nel 2022 il gas azero, che arriva in Italia tramite il gasdotto Tap, ha coperto il 15% dei consumi italiani. Anche in questo caso: non c’è il rischio di un taglio delle forniture?
«Penso si tratti di un’ipotesi estrema, sebbene sicuramente stiamo assistendo a un raffreddamento dei rapporti diplomatici ed economici, com’era ovvio vista la ventilata possibilità di minacce di sanzioni. Certamente gli investimenti previsti per il raddoppio delle forniture di gas dall’Azerbajan, investimenti che già erano improbabili, ora lo saranno a maggior ragione. Questa situazione non aiuta».

Aiuterebbe accelerare gli investimenti sulle rinnovabili? Non sarebbero risolutivi, visti i fabbisogni di energia del Paese, ma darebbero forse un contributo.
«Il momento buono per le rinnovabili non è questo, è sempre. Vanno fatte e basta. L’anno scorso l’energia elettrica costava 130 euro per Megawattora. Con il fotovoltaico i costi scenderebbero a 50, 60 euro a Megawattora. Ciò detto, e pure sottolineando che la Puglia è la prima regione d’Italia sul fronte delle rinnovabili, queste ultime garantirebbero un decimo di quanto ci offre oggi la centrale a carbone di Cerano. Per cui spianiamo la strada a eolico e fotovoltaico, ma non chiudiamo Cerano perché diversificare è conveniente. Parliamo di una centrale efficiente, dotata di tutti i filtri necessari, importantissima per il Sud e per la stabilità delle reti».

Amministratori locali e ambientalisti non sono d’accordo con lei, lo sa?
«Cerano produce duemila Megawatt di energia. La Cina ha appena realizzato centrali per 50 Gigawatt e nel mondo il 37% dell’elettricità è ottenuta dal carbone. Questo per offrire una prospettiva di ciò di cui discutiamo. Chiudere Cerano è semplicemente una follia per il Paese. Poi capisco che a livello locale gli amministratori si preoccupino dei voti e che la centrale produca anidride carbonica, ma parliamo di un composto che fa parte del ciclo della vita».

E di una Puglia come hydrogen valley del Paese che ne pensa?
«Sono fantasie, la cui eventuale realizzabilità è lontanissima nel tempo. L’energia ottenuta così oggi costerebbe 300-400 euro a Megawatt. Chi paga? Dove troviamo l’acqua distillata per produrre? E l’elettricità che paghiamo 130 euro per Megawattora la usiamo per fare idrogeno? Sono follie che servono a distrarre l’attenzione da cose delicate, sporche e difficili come Cerano. Ma i consumi energetici dell’Italia, in Europa, pesano per il 7%, nel mondo per lo 0,1% e la Puglia per un ventesimo di questo 0,1%».

Non resta che il nucleare, secondo lei? Il Governo attuale si è espresso a favore. 
«Sì, ma la posizione dell’esecutivo riguarda il nucleare di futura generazione, con tecnologie che non avremo disponibili prima del 2035. Invece ne avremmo bisogno subito. Ci servirebbero centrali affidabilissime e moderne come quelle realizzate in questi cinque anni dai coreani. Qui, purtroppo, non se ne può parlare: non siamo riusciti a fare il deposito delle scorie nucleari o un inceneritore dei rifiuti a Roma, come potremmo parlare di questo? Ma sia chiaro: se abbiamo un problema di cambiamento climatico, lo risolviamo soltanto con il nucleare».

Che inverno ci aspetta?
«Un inverno di incertezza, sebbene vi siano scorte abbondanti. Siamo sempre in balia del tempo. Per ora il clima resta mite, ma se a fine stagione si verificassero, com’è accaduto, giorni di grande freddo allora potrebbe verificarsi un aumento della domanda, i prezzi esploderebbero di nuovo e saremmo di nuovo in crisi. Dobbiamo sperare per il meglio».

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