Bellanova, la lunga marcia da bracciante a viceministro

Bellanova, la lunga marcia da bracciante a viceministro
di Alessandra LUPO
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Domenica 31 Gennaio 2016, 18:58 - Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 14:23

Sembrano passate molte vite da quando, quattordicenne, Teresa Bellanova, oggi viceministro dell’Economia del governo Renzi, impacchetta uva da tavola negli stabilimenti agricoli del Nord-barese.
Una fotografia in bianco e nero, vecchia di oltre quarant’anni, che ferma nella storia la distanza siderale tra la campagna pugliese e la modernità della Leopolda dove, tra le luci blu e l’arredo vintage sul palco, il centrosinistra al governo traccia le linee guida del Paese. Nell’ultima edizione l’intervento di Teresa Bellanova, già sottosegretaria al Lavoro e reduce dallo strappo col sindacato sul Jobs Act, è stato considerato uno dei più “contemporanei” dal premier, in linea con la visione di un governo mai così in rivolta contro il passato.
Eppure la lunga marcia di Teresa Bellanova in quel passato di lotta e comunismo “d’altri tempi” affonda per intero le sue radici. La sua storia inizia infatti da molto lontano ed è già parte del mito: era il 1971 quando la giovanissima Teresa, quattordici anni nemmeno compiuti, aveva appena finito la scuola e si ritrovò faccia a faccia con le feroci lotte dei lavoratori agricoli pugliesi, decisi ad alzare finalmente la testa contro lo sfruttamento dei caporali, fino a quel momento quasi del tutto indisturbati in una terra in buona parte ancora feudale. Le lavoratrici donne arrivavano nelle campagne della Capitanata nel cuore della notte, trasportate da pulmini che le prelevavano dalle province vicine, quella di Taranto e Brindisi innanzi tutto, ma anche dal Metapontino, lungo rotte tutt’ora battute. Tra loro c’era anche Teresa Bellanova, che arrivava da Ceglie Messapica, cuore della Collina brindisina, altra area a forte vocazione agricola.
Cresciuta in una famiglia comunista, Teresa aveva in tasca la tessera d’ordinanza della Figc e in testa la formazione politica costruita nella sezione del Pci frequentata dal padre. Questo faceva di lei una contadina anomala e in breve tempo, catapultata nel ciclone delle lotte bracciantili per ottenere i contratto nazionale del lavoro, si ritrovò sulle barricate. La lotta portava in piazza migliaia di lavoratori ma la quotidianità era fatta anche di ronde notturne e posti di blocco che i sindacati organizzavano per scoraggiare il trasporto clandestino delle donne.
Com’era accaduto anni prima in provincia di Lecce con le tabacchine, qui la lotta dei campi aveva trovato il suo incrocio naturale con la questione femminile.
Ben presto Teresa cominciò a dare una mano nel sindacato ed entrò ufficialmente nei ranghi della Federbraccianti come “capolega”, aveva solo 15 anni. La questione si giocava su pochi capisaldi (tornati drammaticamente di attualità negli ultimi anni con il fenomeno dei “ghetti” che ospitano gli stagionali stranieri), uno di questi era il trasporto pubblico: ottenerlo era l’unico modo per sottrarre i lavoratori, peggio ancora se donne, al predominio incontrastato dei caporali che per accompagnarle trattenevano fino a metà salario.
Teresa aveva dimostrato di avere il polso necessario. Fu così che una dirigente nazionale del sindacato, Donatella Turtura, notò il suo impegno e la volle alla Lega Braccianti di Ceglie Messapica, dove il sindacato aveva ingaggiato una battaglia corpo a corpo contro i caporali, in un clima sempre più teso, soprattutto dopo che un furgoncino caricato col doppio delle donne che poteva trasportare si era schiantato dopo una curva uccidendo tre operaie. Ne seguirono momenti difficili, fatti di vittorie e sconfitte ma anche di intimidazioni e pericoli concreti. Lei impara a dialogare con le parti. Non si scoraggia e negli anni diventa uno dei punti di riferimento del sindacato, che di fatto scala: prima coordinatrice delle donne della Federbraccianti pugliese, poi il sindacato la manda a Lecce per ricoprire l’incarico di segretaria della Flai, la Federazione Lavoratori Agroindustria che aveva preso il posto della Federbraccianti.
Ma nel Salento in quegli anni l’emergenza caporalato ha iniziato a dilagare soprattutto nel tessile e Bellanova viene spostata a capo della Filtea (Federazione italiana Tessile Abbigliamento Calzaturiero), che si occupa soprattutto delle decine di laboratori di maglieria e camiceria che punteggiavano il Salento (e la sua Ceglie Messapica), nonché dei calzaturifici del basso Salento dove per prima riesce a far entrare il sindacato. Ricopre l’incarico fino al 2000, quando entra a far parte della Segreteria Nazionale della categoria, con delega alle politiche per il Mezzogiorno, politiche industriali, mercato del lavoro, contoterziarismo e formazione professionale.
Il nodo è cruciale: il manifetturiero sta lentamente perdendo pezzi e la lotta dei lavoratori viene presto raggiunta da quella dei piccoli imprenditori spazzati via dalla globalizzazione che porta le grandi aziende a delocalizzare. Bellanova intanto viene eletta componente della segreteria nazionale della Cgil.
Da qui c’è il salto in politica che arriva nel 2005, quanto Teresa Bellanova, ormai un’icona per i lavoratori pugliesi, viene eletta componente del Consiglio Nazionale dei Ds e nel 2006, per la prima volta, alla Camera dei Deputati nella lista de L’Ulivo nella circoscrizione Puglia. Dopo aver partecipato alla fase costituente del Partito Democratico, viene eletta alla Camera dei deputati per la seconda volta nel 2008. Dal 21 maggio 2008 è componente della XI Commissione (lavoro pubblico e privato).
È riconfermata deputato nel 2013. È Segretario del gruppo Pd alla Camera. Il 28 febbraio 2014 è nominata sottosegretario di stato al lavoro nel Governo Renzi, dove si cementa il rapporto col premier ma inevitabilmente si raffredda quello con la Cgil e con la sinistra Pd. Le viene assegnata una scorta. Dopo l'incarico al fianco del ministro Giuliano Poletti, giovedì scorso la promozione: Matteo Renzi, confermando le voci che circolano da tempo, la promuove come viceministro dell'Economia, con una delega che sembra tagliata su misura per lei: politiche per il Mezzogiorno, politiche industriali, mercato del lavoro. Nelle sue mani sono adesso i dossier più scottanti, tra cui quello dell’Ilva.
Per la deputata è il ricoscimento per l’impegno profuso nell’affrontare un numero impressionante di vertenze (oltre mille), che gli era già valso anche l’apprezzamento pubblico dello stesso Renzi. Ma il premier ha già sottolineato anche altri aspetti cruciali del feeling con Bellanova.
Nelle sue lodi pubbliche, in aperta contrapposizione con gli oppositori, Renzi le ha riconosciuto una capacità rara: quella di aver saputo “superare le categorie del secolo scorso”. Un attestato di stima ma anche il riconoscimento a pieno titolo dell’appartenenza alla nuova classe dirigente.
Non male per una donna la cui carriera è cominciata prima ancora che Matteo Renzi venisse al mondo.

E la cui istruzione piuttosto che da raffinate scuole di politica o master di università blasonate ha mosso i suoi primi passi in mezzo ai campi o nelle fumose sezioni di partito della provincia brindisina.

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