Angelo Maci compie 80 anni: «Devo tutto a mio nonno e non smetto di sognare»

Angelo Maci compie 80 anni: «Devo tutto a mio nonno e non smetto di sognare»
di Leda CESARI
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Mercoledì 8 Novembre 2023, 05:00

Il proverbio gli fa un baffo: “Bacco, (tabacco) e Venere riducon l’uomo in cenere”, sentenzierebbe in teoria la saggezza popolare. Lui, però - non si nasce Scorpione per partito preso - se ne fa beffe praticamente da sempre: da quell’8 novembre di ottant’anni fa. Era il 1943, anno che ha dato i natali (la cronista ha una specie di fissa, in proposito) a inossidabili del calibro di Adriana Poli Bortone e Mick Jagger, Mario Monti e Gianni Rivera, e poi, of course, Al Bano. Che all’amico e compagno di scuola elementare e media, collega e concittadino ha inviato un vocale qualche giorno fa, per celebrare in anticipo la felice ricorrenza e quella classe di ferro: «Cadevano ancora le bombe, in Italia, in quei giorni. E nascevano appunto - concedetemi il lusso di dirlo - due bombe: lui e il sottoscritto, persone che hanno fatto cose eccelse. E non stiamo ancora a niente: io mi sto allenando per i cinque volte venti. Angelo Maci, ne sono sicuro, pure». In questi giorni, infatti - tanto per citarne una - Angelo Maci ha strapazzato il virus dell’influenza che aveva osato alzare gli occhi su di lui. Quanto ai vizi stigmatizzati dal famoso proverbio, del secondo si è liberato già da tempo, diventando implacabile censore - come accade a molti ex fumatori - per chi ancora gli soggiace. Per gli altri, invece, applica il principio dell’alleanza strategica: se non puoi debellarlo, fattelo amico. Per questo lui convive amabilmente con il primo: «Voi donne siete la cosa più bella che il Padreterno abbia creato. Sono sempre stato un estimatore della bellezza femminile, e lo sono ancora» (asserzione che in tempi di misoginia e fluidità diffusa fa pure piacere). 
Del primo vizio, invece, ha fatto arte: Cantina Due Palme, cooperativa che ha liberato il vino pugliese dalla schiavitù nordista in cui versava per farne riscatto, orgoglio identitario, sviluppo. E premi di ogni grado e risma, e utili per i soci che da dieci sono diventati mille: «Siamo la prima realtà produttiva vitivinicola del Meridione d’Italia. Non lo dico io, lo dicono gli altri».

La storia

Correva infatti il 1989 quando il Nostro, con un manipolo di altri valorosi, decise di mantenere il punto laddove gli altri estirpavano vigneti incassando ben altri premi. «Erano momenti drammatici», racconta lui in persona, «ti davano 30 milioni di vecchie lire per eliminare un ettaro di vite.

Noi decidemmo di regolarci diversamente, di puntare sulla nostra storia e sulla nostra identità. Oggi siamo noi a fare tesoro dei frutti di quella scelta, e io sono felice di vedere il sorriso sul volto dei miei soci. Rifarei tutto quello che ho fatto finora e ringrazio Dio per questo traguardo odierno che mi ha concesso di raggiungere, e per tutto ciò che mi ha dato». Che non è solo business: «I miei figli, la mia terza moglie, la Due Palme - che è anch’essa una figlia - e 150 collaboratori cui possiamo dare uno stipendio e considerare famiglia. E la soddisfazione di poterci considerare promotori di un’agricoltura moderna, che ci garantisce grandi risultati». E grandi vini: quello cui Angelo Maci è più affezionato è «il mio primogenito, il Selvarossa, con cui abbiamo conquistato il Vinitaly per ben tre volte, come nessun altro. “Prima Cantina Italiana” nel 2007, nel 2009 e nel 2014». Quest’anno si festeggia invece il titolo di “Prima Cantina Cooperativa” ricevuto dal Gambero Rosso, «e poi il “mio” vino, che nei prossimi giorni riceverà i Cinque Grappoli da Bibenda e da Franco Maria Ricci: il “1943”, appunto, inserito tra i “Primi Dieci Rossi d’Italia”». Guardando però sempre al domani: ai lavori in corso a Villa Neviera, per esempio, dove partono gli scavi per realizzare una cantina di invecchiamento e affinamento su due piani e altre suite ad aggiungersi a quelle già esistenti e ai 34 ettari di terreno, di cui 20 vitati, ai margini della foresta oritana: «Il mio ultimo sogno, che sarà pronto in un paio d’anni». 

Il ritratto e la famiglia

Poche cose, si sa, possono infatti fermare un coriaceo Scorpione: «Sì, ho la testa dura, e quando prendo posizione difficilmente mi smuovo», si auto-racconta ancora il patron di Due Palme, «ma per il resto ho un cuore mobile, perforabile. Che è stato perforato tante volte». Dai nemici? «No, dalle donne. Se uno non trova in casa una moglie che lo ami, quando torna stanco la sera (e lui in cantina fa ancora orari da giovincello, dalle 5 di mattina alle 8 di sera ndr) che senso ha distruggersi per il lavoro?». La persona cui resta più grato, però, «e chiedo scusa a papà e alla mamma, cui bisogna essere grati a prescindere, è il nonno». Ovvero Cosimo Ettamiano Martina, che perse l’unico figlio maschio a 33 anni «e che intravide in me colui che poteva portare avanti la sua cantina avviata negli anni ’40. Fu lui a imporre ai miei genitori che io seguissi le sue orme, e oggi mi ritengo un contadino enologo imprenditore stra-soddisfatto della sua vita. Soprattutto delle mie figlie Melissa - che mi ha sostituito alla presidenza della cantina - e Antonella, che si occupa della gestione di Villa Neviera. E poi dei miei nipoti Angelo, responsabile della comunicazione Due Palme, e Francesco, che spero un giorno possa prendere il mio posto perché è agronomo ed enologo. Molto simile a me, in tutto», ridacchia. E poi, dulcis in fundo, la moglie Annarita: «Ci siamo sposati dieci anni fa e sono molto, molto legato a lei, perché mi comprende e mi sopporta in tutto. È una donna intelligentissima». E forse l’ennesimo dono dal cielo per Angelo Maci, l’ottantenne cui il tempo (e il famoso proverbio) fanno letteralmente un baffo: «Nella mia vita ho visto miracoli, e non a caso tutte le mattine mi inchino alla statua di Padre Pio che ho nel giardino. Mia madre ebbe un parto difficilissimo e il dottor Sturdà di San Donaci, che mio padre era andato a prendere con il biroccio con il mantice, mi tirò fuori quasi a pezzetti. Poi - il primo febbraio 2007 - mi hanno operato per un tumore: avevo pregato San Marco, Sant’Antonio e Padre Pio, appunto… e, come vedete, eccomi qua».

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