Nei quartier generali dei partiti del centrodestra stanno tutti blindati. Attaccano, furiosi, sul caso Palermo - prendendosela con il ministro Lamorgese e sospettando una combine dei 174 presidenti di seggio astensionisti per invalidare il voto e non far vincere Lagalla - ma questo contro il caos nella capitale siciliana sembra essere l'unico tratto comune tra Salvini e Meloni. Che per il resto stanno cauti, ancora, in attesa - ognuno contro l'altro, al netto di quel che resta della comune soddisfazione da alleati se il centrodestra dovesse uscire vincente nelle varie città - e aspettano di contare i voti di lista, oltre che di vedere chi tra Lega e FdI conquista più sindaci, da cui emergeranno i nuovi equilibri nella coalizione. Che intanto si possono esemplificare in due casi: se il derby Lega-FdI nelle città lombarde, Como soprattutto, andrà male per i salvinisti potrebbe traballare la ricandidatura al Pirellone di Attilio Fontana (che ieri Matteo ha rilanciato contro l'ipotesi Moratti lanciata da Calenda in chiave trasversale e a cui Letizia starebbe pensando: «Lei», parola del capo lumbard, «è importante per la squadra ma è la vice, il numero uno è Fontana».
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Secondo caso, che si aprirà tra poche ore comunque vadano i conteggi a Palermo e altrove: Meloni si aspetta da Salvini e da Berlusconi l'investitura di Musumeci a candidato presidente siciliano bis nel voto di ottobre. Avrà questa investitura o il probabile sorpasso di FdI nei voti di lista nelle città sulla Lega renderà Matteo più spaventato e più arroccato nel concedere nulla a Giorgia? La quale è sicura del successone, ma non lo evoca e non sbandiera, e in queste ore sta coperta perché non si sa mai, e ha pronto il patto anti-inciucio da far firmare a Salvini e Berlusconi, perfino davanti al notaio, in cui giurano che non aderiranno mai più a uno schema stile governo Draghi. Ma «non ho bisogno di firmarlo», è la risposta gelida di Salvini. Mentre Berlusconi ci pensa ancora meno di lui, in ossequio alla propria natura di (auto-definizione) «concavo e convesso»). Proprio il Cavaliere ieri ai seggi ha fatto come al solito le sue esternazioni. E ha rinsaldato, su tutto, il suo patto ormai di ferro con Salvini. L'idea del partito unico, Prima l'Italia, tramite fusione tra azzurri e leghisti non è affatto sfumata nonostante le dichiarazioni ufficiali e l'eventuale sorpasso di FdI sul Carroccio insieme a un forte tracollo di Forza Italia in tutto il Paese finiranno per riavviare il processo di unione forzaleghista.
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CONTROMOSSE
E comunque, in attesa dei risultati oggi del primo turno dei sindaci e di quelli delle liste, la convocazione d'urgenza nella sede milanese di via Bellerio dei vertici della Lega - dove giorgettiani e area governatori del Nord sono sempre più agitati di fronte a un segretario che «sbaglia troppo» e non solo in politica estera - sembra da parte di Salvini un modo per blindarsi e per spostare il terreno di gioco. Ovvero, rispolverando l'anti-europeismo, lancerà il Carroccio contro la Lagarde, contro «l'Europa matrigna», contro la Bce che vuole «affamare l'Italia» con il rialzo dei tassi d'interesse. Un format nuovo-vecchio per reagire alle eventuali delusioni elettorali, e rilanciare se stesso e il partito - con un revival della purezza identitaria - in vista del voto del 2023.
La Meloni sente il vento in poppa («Ragazzi, calmi, state calmi...», dice però continuamente a quelli tra i suoi troppo convinti di essere forti), ha riempito le piazze in queste settimane più del suo alleato-rivale, vede i sondaggi che danno FdI primo partito mentre la Lega ha dimezzato i consensi del 2019, ha cerchiato di rosso Como, Verona, Alessandria, Padova, ma anche Palermo e le città laziali come luoghi simbolici del possibile sorpasso, e se questo sorpasso ci sarà da stasera Giorgia potrà intestarsi la leadership della coalizione e farsi dare dall'ex Capitano e dal Cavaliere il ticket d'ingresso a Palazzo Chigi (ammesso che il risultato del 2023 lo consentirà).
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