Basta illusioni: senza industria il Sud non va lontano

di Gianfranco VIESTI
4 Minuti di Lettura
Venerdì 22 Gennaio 2016, 21:34 - Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 15:22
Negli ultimi sei anni, le distanze fra il Mezzogiorno e i Lander Orientali della Germania sono molto cresciute. In parte ciò è ovvio, spiegato dalle vicende economiche di Italia e Germania; ma in parte rilevante è frutto del processo di re-industrializzazione che lì ha avuto luogo. Come ben documentato in un recente rapporto di Intesa-San Paolo, nei Lander Orientali si è venuto creando un nuovo, moderno tessuto produttivo.

Un tessuto produttivo centrato principalmente sull’automobile e la meccanica, la chimica e la farmaceutica; frutto di cospicui investimenti di imprese dell’ex Germania Ovest (e in parte minore straniere) in impianti avanzati orientati alle esportazioni. Accompagnato da un poderoso sforzo nella ricerca: le spese private per la ricerca sono ormai l’1% del Pil dei Lander orientali (0,3% nel Mezzogiorno); quelle pubbliche l’1,5% (0,6% nel Mezzogiorno).

Perché questo confronto? Perché indica chiaramente che un aumento del benessere e dell’occupazione al Sud, con ricadute positive sull’intero paese, può venire solo da un ambizioso progetto di rilancio dell’industrializzazione. Agricoltura, turismo, servizi di qualità sono fondamentali: ma senza industria e ricerca un’area con oltre 20 milioni di abitanti non va lontano. Progetto non facile, proprio perché l’Italia non è la Germania; anche per la preoccupante ritirata, nel periodo più recente, di alcune delle nostre, non molte, imprese di medio-grande dimensione. Ma, per un paese che voglia ambiziosamente abbandonare la strada, e la retorica, del declino, come più volte ci viene ripetuto, non può essere impossibile.

Il rilancio dell’industrializzazione del Mezzogiorno passa in primo luogo attraverso la difesa e il rafforzamento della manifattura che già c’è, e che è riuscita a sopravvivere alla tremenda crisi. L’industria alimentare ha assunto un rilievo assai maggiore, perché ha meglio tenuto negli anni più difficili e ha aumentato la sua proiezione internazionale: che può crescere moltissimo. L’aereonautica rappresenta una punta di diamante, da consolidare anche attraverso un più intenso legame con attività di ricerce e innovazione da far crescere al Sud.

L’auto, come si vede a Pomigliano e Melfi, sta facendo registrare finalmente numeri buoni: la Renegade è la dimostrazione concreta di come si possano prdurre al Sud beni industriali sofisticati fortemente competitivi sui mercati internazionali. Il tessuto produttivo è però ancora piccolo: e non ci si può permettere di perderne altri pezzi. Il pensiero va alle incerte prospettive di Eni-Versalis e della chimica, specie quella “verde” così presente nel Mezzogiorno. Sappiamo che non è la proprietà delle imprese il fattore decisivo: ma abbiamo visto troppe volte che al disimpegno di grandi imprese nazionali sono poi seguite progressive dismissioni e ridimensionamenti, specie se il controllo passa a soggetti di natura finanziaria.

E il pensiero va all’Ilva. Per le sue enormi dimensioni: il 40% dell’acciaio lavorato italiano; i tre quarti dei prodotti piani. Per le sue preoccupantissime dinamiche (ben documentate da Paolo Bricco in un articolo su “Il Mulino” in uscita): il crollo della produzione (dai 9,6 milioni di tonnellate del 2006 ai 5,8 del 2013), la riduzione delle quote di mercato, le perdite operative e l’erosione del patrimonio netto (2,5 miliardi bruciati da metà 2012 a metà 2014). E per il legame strettissimo fra industria, ambiente e territorio: senza un rilancio dell’Ilva è assai difficile immaginare sia le enormi bonifiche da realizzare, sia la stessa sopravvivenza economica di una grande città. Poche situazioni sono intricate come quella di Taranto: la magistratura ha svolto e svolge un’azione invasiva assai controversa; e come se non bastasse ora appare anche la minaccia della Commissione Europea di aprire un’indagine sugli aiuti di stato.
La questione Ilva si risolve con grande attenzione, e sciogliendone progressivamente i nodi; ma solo se si ha finalmente un’indirizzo politico determinato (dopo le non poche incertezze dell’ultimo triennio).

Vedremo gli esiti della ricerca di acquirenti avviata dal Governo. Ma ciò che rileva è che sia chiarissima la finalità: mantenere una produzione fondamentale per il paese e per il Sud, difendere l’occupazione, accrescerne il più rapidamente possibile le compatibilità ambientali. Facendola valere anche il sede comunitaria. Nessuno vuole buttare alle ortiche le regole del mercato unico e della tutela della concorrenza. Ma la crisi ha cambiato profondamente lo scenario: le autorità politiche italiane hanno il dovere, e devono mantenere il diritto, di disegnare e raggiungere una soluzione; cercando ogni accomodamento con la Commissione, ma rivendicando anche la rilevanza di un così fondamentale interesse nazionale. Nessuno vuol tornare allo stato onnipotente: ma nemmeno soggiacere ad approcci dogmatici iperliberisti, che assai spesso nascondono altri interessi. Non dimentichiamolo mai: l’Europa è nata e serve per migliorare le condizioni di vita dei suoi cittadini; per trovare soluzioni – accettabili per tutti - per i processi di rilancio industriale. Non per impedirli.
Gianfranco Viesti