
Recovery fund, si cominci dalle città dove la crisi è più forte

di Gianfranco Viesti
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Mercoledì 16 Settembre 2020, 09:31 - Ultimo aggiornamento:
30 Settembre, 17:43
Con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza ci giochiamo moltissimo del nostro futuro. Veniamo da un ventennio di crescita stentata e da dieci anni di politiche di austerità che hanno ridotto le nostre potenzialità tagliando investimenti e servizi pubblici, e le spese che più contano: dall’istruzione alla salute all’innovazione e alla ricerca. In particolare per i cittadini più deboli e le aree del Mezzogiorno. Siamo in una situazione di grandissima incertezza, con l’economia che è crollata in primavera; con molte attività economiche, dai viaggi alla cultura, in stallo; con un mercato del lavoro ingessato da tutele indispensabili, ma non prorogabili all’infinito. Ci sono segnali confortanti sull’attività estiva; ma la perdita di posti di lavoro in autunno potrebbe contarsi in centinaia di migliaia, con tutte le conseguenti ricadute sociali. Infine, c’è finalmente un approccio europeo (della Germania) completamente diverso da quello del 2011-12, a cui è indispensabile dare riscontro; mostrare che la strada giusta, anche per risanare i conti pubblici, è quella di investire per favorire la crescita. Ottenendo risultati. Per ricreare la fiducia, nostra e degli altri, nel nostro Paese. Le dimensioni del Piano sono imponenti: 191 miliardi (209 miliardi è la dote complessiva dei fondi messi a disposizione dalla Ue). Se ben spesi possono portare di per sé entro il 2025 a far crescere il Pil di tre punti; generando oltre mezzo milione di posti di lavoro, solo come impatto diretto della spesa. Senza contare che in un’Italia migliore e più efficiente le imprese potrebbero diventare più produttive e competitive.
Si tratta di un piano di investimenti fisici, come è giusto che sia. Servono molte opere pubbliche; servono anche grandi opere. Ma per portare risultati strutturali, devono essere fruite: e le politiche di investimento vanno incrociate con il finanziamento dei servizi. Questo deve avvenire in tutto il Paese, sanando al più presto le enormi e crescenti disparità nelle disponibilità di servizi che penalizzano in particolare il Mezzogiorno. Pensiamo ai trasporti. Le reti ad alta velocità, il progetto dell’Alta velocità di rete sono cruciali; ma richiedono tempi assai lunghi. E poi davvero servono tante nuove strade? Perché non potenziare da subito l’effettivo diritto alla mobilità dei cittadini aumentando collegamenti e servizi (ricostituendo i fondi per il trasporto ferroviario regionale e per quello urbano), privilegiando quegli interventi infrastrutturali di sicurezza e velocizzazione delle reti? In tutta Italia, ma partendo dai luoghi e dalle persone per cui i miglioramenti potrebbero essere più forti e immediati, come per i pendolari della Roma-Lido o della Circumvesuviana. È un piano settoriale. Ma l’impatto effettivo degli investimenti per i cittadini e le imprese si verifica solo se essi si incrociano e si completano a vicenda sui territori in cui essi vivono e operano. Nelle linee guida mancano le città: una parte del Paese che si è (con alcune eccezioni) fortemente indebolita nel XXI secolo, ma resta il pezzo decisivo dell’economia italiana del futuro. Ed è molto a rischio: la crisi del commercio e di molti servizi urbani è fortissima, forse più grave di quella dell’industria: può devastare quartieri, accrescere disuguaglianze sociali. Le città potrebbero cambiare molto. Nell’organizzazione dei tempi di vita e della mobilità; nell’inclusione di tutti i cittadini; nella vivibilità delle piazze; nella cultura. In tutta Europa, talvolta anche in Italia (si pensi ad alcuni dei Piani Urbani), ci sono esempi virtuosi, buone pratiche, realizzazioni importanti e relativamente rapide (la tramvia fiorentina). I sindaci sono decisivi: ma non si può solo scommettere sulle loro abilità, assai diverse. Serve una grande politica nazionale per le città che ricucia gli investimenti del Piano di ripresa: a cominciare da Roma. Infine l’equità territoriale non può essere una voce a sé, ma dovrebbe permeare tutte le missioni: per dare migliori opportunità a chi ne ha di meno, e perché una forte crescita del Mezzogiorno fa bene a tutto il Paese. Meglio le linee guida di accrocchi di progetti dai cassetti. Un punto di partenza da discutere senza pregiudizi, con concretezza, provando a recuperare anche le molte proposte disponibili, emerse negli scorsi mesi e dando il più possibile “nomi e indirizzi” ai progetti.

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